E il cibo che non consumiamo? Semplice: si spreca, finito diritto nella spazzatura. Un disastro, etico e ambientale. Eppure diversi indicatori e buone pratiche di sostenibilità del cibo ci dicono che non bisogna fare così. Secondo la Fao ogni anno il 30 per cento del cibo prodotto per il consumo umano viene sprecato: troppo. E secondo i dati dell’Unep, il programma delle Nazioni Unite per l’ambiente, il cibo buttato o lasciato marcire equivale alla metà della produzione di cereali annua mondiale.
Eppure lo spreco di cibo è un insulto alla società, lo ha detto il presidente della Repubblica Sergio Mattarella visitando l’Expo nella Giornata mondiale per l’Ambiente, il 5 giugno. Una persona al mondo su nove è cronicamente sottoalimentata. Per Mattarella, bisogna fare qualcosa: «la cultura dello scarto e del consumo illimitato non si concilia più con il futuro possibile, né con lo sviluppo economico. È questa la novità del nostro tempo. Uscire dalla crisi vuol dire saper innovare e cambiare rotta». Mattarella propone “un patto di cittadinanza” contro lo spreco. I singoli consumatori possono condizionare il mercato ma lo Stato deve fare la sua parte: «ridurre gli sprechi – continua il presidente – è un grande impegno pubblico, a cui possono partecipare da protagonisti la società civile organizzata, il volontariato, il no-profit, la cooperazione, l’impresa privata. Alcuni progetti di solidarietà stanno dando risultati positivi. Occorre estenderli, valutando come intervenire con strumenti legislativi di sostegno».
Intanto, qualcuno in Italia si mobilita. La Caritas, insieme a Coop, in un mese hanno recuperato tre tonnellate di cibo che altrimenti sarebbero state buttate. Ogni notte un furgone arriva ai cancelli di Expo, carica i prodotti in scadenza e li distribuisce tra i centri di ascolto dell’associazione.
E nel resto d’Europa? In Belgio, nei comuni di Herstal e di Namur, una nuova norma impone ai supermercati di donare i prodotti invenduti ancora buoni alle associazioni di volontariato che li ridistribuiscono alle persone indigenti. A Lisbona, con il progetto Refood, i volontari si recano in bicicletta nei ristoranti e negozi di alimentari, ma anche in case di privati, per recuperare il cibo avanzato, redistribuendolo ai poveri. A Helsinki, a Roihuvuori, l’attenzione è sul food sharing di quartiere: gli abitanti possono portare il cibo in eccesso o usufruire di quello a disposizione grazie al progetto Saa syödä! (letteralmente: “licenza di mangiare”). In Danimarca il movimento di consumatori “Stop wasting food” porta avanti la lotta allo spreco alimentare con campagne di sensibilizzazione nelle scuole, conferenze pubbliche e seminari; inoltre, con la collaborazione di noti chef danesi, ha realizzato una serie di ricettari, iLeftovers cookbook, che spiegano come riutilizzare gli avanzi dei pasti per cucinare nuovi piatti.
In Francia, la catena di supermercati Intermarché ha lanciato la campagna Inglorious fruits and vegetables, che mira a vendere gli ortaggi esteticamente brutti, ma buoni. Infatti, in base alle norme europee, la frutta brutta non ha mercato e finisce direttamente alla discarica pur essendo perfettamente commestibile. Questi prodotti si trovano in un apposito banco nel reparto ortofrutta: in pochi mesi i negozi in cui la campagna è stata messa in atto hanno registrato un aumento delle vendite del 24 per cento. Sulla falsariga dell’esperienza francese in Germania è nata Ugly fruits, una campagna di riabilitazione della frutta esteticamente brutta ma nutrizionalmente buona lanciata da tre studenti.
Piccole pratiche di buon senso, dunque, crescono. Il cibo, per noi e per il resto del mondo, rimane il grande indicatore della qualità della vita dei popoli. Sfamarsi, e sfamarsi tutti, è l’imperativo etico di ogni diritto di cittadinanza. Senza questo, il mondo è destinato alla barbarie.
Documenti:
Il cibo è un diritto - discorso di papa Francesco alla Fao
di Gianni Di Santo - pubblicato su http://azionecattolica.it/il-cibo-un-diritto-lo-spreco-un-reato