La “concordia nazionale” ritrovata

Settant’anni fa, l’inizio dei lavori dell’Assemblea costituente

«“Frattanto, in questo pericolo mortale che ci minaccia dall’estero, un imperativo categorico si pone verso l’interno: l’unione, la pacificazione, la concordia.

Un appello solenne ne segue, perché ogni Italiano, a qualunque partito, a qualunque classe appartenga, ogni risentimento, ogni dissenso, ogni rancore, ogni interesse, ogni pensiero insomma, subordini alla maestà di questo comando: la concordia nazionale perché si salvi l’Italia, perché viva l’Italia.

Vorrei ardentemente che queste fossero le ultime mie parole, affinché esse restassero impresse con l’autorità austera dell’al di là: Viva l’Italia!” (L’Assemblea si leva in piedi - Vivissimi prolungati generali applausi)». 

Così terminava settant’anni fa il primo discorso ufficiale durante la sessione inaugurale dell’Assemblea Costituente (25 giugno 1946). A pronunciare l’appello alla “concordia nazionale” era il più importante giuspubblicista italiano, Vittorio Emanuele Orlando, che rappresentava nel campo giuridico la “dottrina della tradizione” in continuità con lo Stato liberale pre-fascista. (...)

Ripercorrere questa pagina della nostra storia repubblicana non ha solo una valenza celebrativa che ci rende maggiormente consapevoli delle nostre origini. Ci spinge a prendere sul serio la nostra Costituzione e a rilanciare l’idea originaria di una democrazia sostanziale - non solo politica, ma anche economico-sociale - in un contesto mutato come quello attuale. Inoltre, in vista del dibattito che si svilupperà nei prossimi mesi di campagna referendaria sulla revisione costituzionale votata dal Parlamento lo scorso 12 aprile, è auspicabile ripartire da qui: dai fini che i padri costituenti avevano pensato allora per discernere quale struttura istituzionale oggi sia più efficace nell’assecondarli.

 

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