Dentro una storia bellissima

Ho sempre pensato all'AC come una famiglia; sin da quando giovanissimo ho preso coscienza che appartenere a questa associazione non poteva discostarsi troppo dalla vita di una famiglia classica dell'epoca (anni '70). Preghiera, condivisione, studio, vita nella comunità (civile ed ecclesiale), ritrovarsi con gli amici nel “mitico” salone parrocchiale a giocare e crescere insieme, erano questi i momenti salienti della vita di un giovanissimo di AC di quel periodo. Questo bagaglio ora è diventato vita concreta nella mia famiglia dove, insieme a mia moglie, conosciuta in AC, cerchiamo insieme di continuare il percorso e farlo respirare anche ai nostri figli.

Pian piano ho sperimentato veramente l'AC come una seconda famiglia, con le gioie e i dolori, le fatiche e le speranze di una normale famiglia di questo tempo.

L'AC mi ha dato moltissimo, non so quando riuscirò a ripagarla del bagaglio che via via si è andato accumulando nella mia vita. Ho vissuto stagioni associative veramente entusiasmanti ad ogni livello, parrocchiale, diocesano, regionale e nazionale dove ho respirato aria di famiglia, aria di una Chiesa sempre protesa ad essere casa accogliente per ogni uomo sulla scia del concilio, spartiacque anche per me dell'impegno fattivo e serio nella comunità ecclesiale.

Ricordo ancora con piacere e responsabilità l'incontro che come AC di Otranto abbiamo vissuto nel 1973 con l’indimenticato presidente nazionale, Vittorio Bachelet, in quell'occasione, ascoltando le sue parole è nata in me l'idea di un impegno maggiore in associazione, risale a quegli anni la mia “vocazione” in favore dei ragazzi dell'ACR.

Ho avuto e continuo ad avere accanto amici, laici e preti, che mi hanno accompagnato lungo questa strada; persone a cui devo molto, a cui devo quello che ora sono, e spero quello che, con l'aiuto di Dio, potrò ancora essere.

Quasi senza accorgermene, sono 30 anni che faccio esperienza di centro diocesano e ho avuto la possibilità di vivere varie stagioni associative ed ecclesiali. Agli occhi di qualcuno sono un esperto di AC (ma non lo credo), sono soltanto uno che ha accolto e amato così tanto questa esperienza da lasciarsi impregnare e rendersi disponibile ogni volta che gli veniva chiesto un servizio. In virtù di questa “esperienza” consentitemi di esprimere le mie attese e le mie speranze per la nostra associazione e per la nostra Chiesa.

Mi piacerebbe continuare a vivere in un’AC familiare, in un'AC che ha chiaro ogni giorno il suo carisma fondativo: la formazione e la scelta della diocesanità, e superare il riflusso nel privato (parrocchiale) delegando sempre agli altri l'impegno in diocesi. Ricordo che l'AC esiste solo se è diocesana perché tale è la Chiesa.

Stiamo vivendo l'itinerario assembleare che ci condurrà alla XVI Assemblea, rimbocchiamoci le maniche, rispondiamo con gioia e fiducia alla chiamata del Signore, lasciamoci plasmare da Lui e veramente “faremo nuove tutte le cose”.

Il mio sogno: un'AC estroversa, capace di guardare fuori dalle finestre delle sue stanze, ed avere il coraggio evangelico di uscire dalla porta per portare a tutti la buona notizia. Sogno ancora una Chiesa capace di parlare al cuore dell'uomo come quella dei primi cristiani, «li riconoscevano dallo spezzare il pane e dalla comunione fraterna», in cui ogni componente è valorizzata per i carismi che possiede, in cui il laicato, per dirla con le parole di Fulvio De Giorgi, non è più il brutto anatroccolo ma il cigno che con la sua originalità rende la Chiesa sempre più bella e unita al Suo Signore.

Concludo con un augurio per me e per ciascuno di voi. Rendiamo questa nostra Associazione luogo accogliente e vitale per tutti, anche per chi non ci condivide, sarà questa la scommessa per il nostro futuro.

 

Fernando Pellegrino

 già Presidente diocesano e Delegato regionale