Sinodo dei giovani. Lettera a Francesco
Caro papa Francesco, per prima cosa vorrei dirti grazie! Grazie per questo Sinodo e per la tua lettera ai giovani. Come hanno scritto Lucia, Michele e don Tony prendere carta e penna, scrivere una lettera per accompagnare un regalo è una delle cose più tenere della vita. «Ho voluto che foste voi al centro dell’attenzione perché vi porto nel cuore», ci hai scritto. È bello sapere che la Chiesa guarda a noi così come siamo: «perché ci porta nel cuore». Tra tanti sguardi interessati che sentiamo addosso, uno sguardo che non chiede niente ma accoglie. Come quello di una mamma a cui brillano gli occhi, perché vede per noi solo il meglio.
Le tue parole mi hanno aiutato a fare luce su alcune domande che sento da quando è stato annunciato il tema del Sinodo. Chi saranno i protagonisti di questo percorso? Certo, i vescovi che si ritroveranno con te a Roma, nell’ottobre 2018. Ma in questi due anni riusciremo a parlare con i giovani di tutto il mondo? Sapremo generare processi di confronto anche con chi è “fuori” dai nostri gruppi? Denunceremo il grido di chi è vittima «della prevaricazione, dell’ingiustizia e della guerra»? O saranno due anni di riflessioni belle e alte, ma che resteranno interne alla Chiesa?
Ora credo di aver capito questo: mai come oggi, e in particolare tra i giovani, la divisione tra chi è “dentro” e chi è “fuori” dalla Chiesa non serve, non ha ragione di esistere. La tua chiamata, eco di quella del Signore, è una chiamata a tutti, proprio perché la Chiesa «porta nel cuore» la vita di ciascuno di noi. Nel Documento preparatorio c’è un’espressione bellissima: «vocazione all’amore». È proprio nella «chiamata all’amore» che ci sentiamo tutti coinvolti! Tra i miei amici una minoranza sono credenti praticanti; la maggioranza crede, ma dice di non riconoscersi nella Chiesa; qualcuno nega l’esistenza di Dio. Ma tutti ci sentiamo chiamati ad amare e a essere amati, a fare il bene e a riceverlo.
Tutti cerchiamo di capire come rispondere con le nostre scelte, professionali, affettive, di servizio, a questa chiamata. Nel discernimento c’è il terreno comune per dialogare con tutti. Non è facile oggi, per noi giovani, sentire che andiamo verso un futuro «portatore di sicure realizzazioni». Ma condividiamo un sogno. «Qual è per noi oggi questa terra nuova, se non una società più giusta e fraterna che voi desiderate profondamente e che volete costruire fino alle periferie del mondo?». Questo sì, lo vogliamo tutti. Qualcuno dà al sogno il nome di una vocazione a cui rispondere con fede, qualcuno forse no, ma sente di voler lottare per il bene. «La fede è un dono del Signore. A noi [spetta] soltanto custodirlo… Non si studia per avere fede, la fede si riceve come un regalo», hai detto domenica scorsa ai giovani di una parrocchia di Roma. La tua voce è quella di una Chiesa vicina, fatta di persone concrete che non pretendono di “insegnare” ai giovani né tanto meno di “giudicare” le nostre vite. Ma che vogliono solo mostrare con la testimonianza che vivere per il bene è possibile, e che è una strada da percorrere insieme.
di Gioele Anni - Segretario nazionale del Msac. La lettera è stata pubblicata sul quotidiano Avvenire del 18 gennaio 2017
dal sito http://azionecattolica.it