“Accanto agli scartati”
La terza Porta Santa aperta da Papa Francesco ha una valenza del tutto particolare e, in qualche modo, si iscrive nel cammino che il vescovo di Roma ha voluto imprimere al suo Pontificato fin dal primo giorno della sua elezione: se vogliamo avvicinarci alla misericordia e alla grazia che Dio ci porta “dobbiamo avvicinarci agli scartati, ai poveri, a quelli che hanno più bisogno, perché su questo avvicinarsi tutti noi saremo giudicati”.
Alla luce di queste parole e dell’apertura della Porta Santa della Carità, all’ostello della Caritas alla Stazione Termini di Roma, capiamo meglio la scelta di aprire otto giorni prima il Giubileo nella capitale della Repubblica Centroafricana, Bangui. Capiamo meglio la scelta di avere sul sagrato della basilica vaticana di San Pietro, il giorno della messa di inizio Pontificato, non tanto e non solo i “potenti” della terra, ma soprattutto un semplice cartonero, Sergio Sancez, una persona che a Buenos Aires si guadagna da vivere raccogliendo i cartoni per le strade della capitale argentina. Si comprende ancor di più la scelta di compiere il suo primo viaggio nell’isola di Lampedusa, per essere accanto alle persone che hanno rischiato la vita nell’attraversare il Mediterraneo, per fuggire da guerre, violenze, e fame.
È, dunque in questi gesti, nell’annunciare il giorno del suo compleanno la volontà di canonizzare Madre Teresa di Calcutta, la suora che ha speso la sua vita accanto ai poveri, ai sofferenti, che troviamo Francesco, e, nello stesso tempo, troviamo il messaggio che Francesco lascia alle comunità cristiane e al mondo: ciò che dobbiamo avere come punto di riferimento non è un grande impero, una principessa, un palazzo di lusso; “e tu vuoi trovare Dio, cercalo nell’umiltà – dice Papa Francesco all’ostello della Caritas – cercalo nella povertà, cercalo dove lui è nascosto: nei bisognosi, nei più bisognosi, nei malati, gli affamati, nei carcerati”.
Ecco che quel passare la Porta Santa non è tanto una passeggiata, un farsi vedere dagli altri, ma impegno concreto, gesto di solidarietà, atto di vicinanza. C’è un “prima” e un “dopo” che dobbiamo avere ben presente, dice il Papa; e quell’aprire la Porta Santa deve farci vedere qual è la strada della salvezza: “non è il lusso, non è la strada delle grandi ricchezze, non è la strada del potere. È la strada dell’umiltà. E i più poveri, gli ammalati, i carcerati - Gesù dice di più - i più peccatori, se si pentono, ci precederanno nel cielo. Loro hanno la chiave. Colui che fa la carità è colui che si lascia abbracciare dalla misericordia del Signore”. Come dire, non sono “strade di salvezza” la presunzione, le ricchezze, la vanità, l’orgoglio.
L’attenzione per Francesco va agli “scartati” nella società: ecco allora il viaggio a Lampedusa, la visita alla favelas di Varginha, nella prima tappa internazionale in Brasile; ecco la scelta di andare nei quartieri poveri, in Africa, in America Latina, tra le persone allontanate da una società che guarda soprattutto al profitto. Per Francesco la Porta della Carità è quella più importante da aprire, è la chiave per leggere il cammino del credente. Ed è alla luce di questo che si comprendono anche le scelte di Francesco di abitare in semplicità a Santa Marta, di viaggiare a bordo di una utilitaria; soprattutto di essere accanto alle persone sofferenti, i malati, i portatori di handicap. Non è pauperismo, come qualcuno ha voluto evidenziare; ma radicalità evangelica, perché “l’entrata in cielo non si paga con i soldi”, dice nell’omelia all’ostello intitolato a don Luigi Di Liegro, il prete dei poveri morto nel 1997. Non ci verranno chieste onorificenze, lauree o altro ancora, ma ci verrà detto: “ero affamato e mi hai dato da mangiare; ero senzatetto e mi hai dato una casa; ero ammalato e sei venuto a trovarmi; ero in carcere e sei venuto a trovarmi”.
di Fabio Zavattaro dal sito http://azionecattolica.it