Presidenti e Assistenti a Convegno, per l’Ac di oggi e di domani
Custodire, generare, abitare. Sono i tre verbi del futuro per un’Ac che ha voglia di mettersi al servizio del paese e della Chiesa. Con la sua storia, lunga ormai 150 anni. E con i suoi volti di giovani e adulti, passando per i ragazzi e gli anziani, intrisi di passione e sorriso per un impegno pastorale e sociale che implica però anche una ricerca personale e spirituale.
E così, dopo la XVI Assemblea nazionale dell’Azione cattolica italiana, segnate dall’incontro intenso e carico di significati con Francesco, lo scorso 30 aprile, ecco il primo appuntamento programmatico per il triennio 2017-2020. Un Convegno che ha visto i presidenti e assistenti diocesani unitari e regionali di Azione cattolica convergere a Bologna (8-10 settembre) per riflettere sul tema «Vi precede in Galilea». Custodire-generare-abitare.
Un Convegno che è iniziato con un momento pubblico organizzato dall’Isacem – lo stesso presidente Matteo Truffelli ha ribadito come non fosse un’appendice ma la prima parte del Convegno stesso – dove una folta platea ha ascoltato il racconto dell’Ac lungo i suoi 150 anni di storia. Il tema, Una storia lunga centocinquant’anni. L’Azione cattolica nella vita del Paese, è stato pensato nell’ambito delle celebrazioni per il secolo e mezzo di fondazione della più antica associazione laicale cattolica del paese. Raffaele Cananzi, presidente dell’Istituto per la storia dell’Azione cattolica e del movimento cattolico in Italia Paolo VI (Isacem), ha ricordato le origini bolognesi dell’Ac, città di Giovanni Acquaderni (1839-1922), fondatore, assieme al viterbese Mario Fani, della prima Società della gioventù cattolica, nucleo originario dell’Ac. Cananzi ha sottolineato «il contributo, originale e fondamentale, dell’Ac alla vita ecclesiale e civile del paese», puntando in particolare sulla «formazione cristiana, non offuscata da integrismo», capace di sollecitare una cittadinanza attiva in grado di incidere sulla vicenda nazionale, anche «creando un dialogo fecondo tra credenti e non credenti».
Giampaolo Venturi, storico, ha tenuto invece una relazione sul fondatore, Giovanni Acquaderni, motore di numerose iniziative sociali, economiche, culturali, e poi fondatore nel 1867 della Società della gioventù cattolica italiana, con forti connotazioni spirituali senza rinunciare all’impegno sociale a favore delle classi meno fortunate della nascente nazione italiana.
Un ampio e dettagliato profilo dell’associazione laicale, dalla fondazione, nel 1867, fino ai tempi recenti, lo ha delineato Giorgio Vecchio, docente di Storia contemporanea dell’Università di Parma. L’Ac, attraverso il racconto dei volti e delle testimonianze, ha attraversato la vita nazionale, dal fascismo alla lotta resistenziale, dalla ricostruzione post-bellica al Concilio, fino al ’68, al terrorismo, per giungere all’oggi. Una ricostruzione, quella di Vecchio, che si sofferma sull’immagine di Vittorio Bachelet, presidente di Ac nel post-Concilio, ucciso dalle Brigate Rosse nel febbraio 1980 quando era vice presidente del Consiglio superiore della magistratura: «Quasi una crocefissione contemporanea – commenta lo storico –, un’offerta di sé in nome di un impegno laicale, da cristiano adulto, per il bene del nostro paese». Alla relazione di Vecchio è seguita quella di Paolo Trionfini, anch’egli storico, direttore Isacem, che si è concentrato sugli sviluppi della “forma associativa” dell’Ac dalle origini al ‘900.
Nei verbi che faranno da filo conduttore per il prossimo triennio, l’Ac non può dimenticare la memoria, che aiuta a vivere il presente e prepara un buon futuro. È lo stesso Truffelli a ribadirlo: «la nostra storia ci aiuta a capire che nei 150 anni di vita dell’Azione cattolica siamo stati fedeli alla nostra identità perché abbiamo saputo cambiare. Abbiamo saputo leggere e interpretare il tempo per stare dentro di esso». «La nostra storia ci insegna – continua Truffelli – l’arte e l’importanza del discernimento, del discernimento comunitario: capire come essere Ac oggi». L’Ac deve «porsi in ascolto della vita della propria realtà particolare per capire quali priorità assumere per il triennio, e attraverso quali modalità e quali scelte concrete lavorare per esse».
Perché «è questo che è richiesto ai cittadini di Galilea: la Galilea, ci ricordava mons. Mansueto Bianchi, è la terra “tipica del laico di Azione cattolica”, perché è la terra della contaminazione, la terra della pluralità, del velamento di Dio, la terra in cui non è facile distinguere con chiarezza immediata il bene, il giusto, la verità. Ma è anche il luogo della vita, la parabola della città. E proprio per questo è anche il luogo dove è iniziato il cammino di Gesù, il cammino della Chiesa, e perciò dove comincia il cammino di ogni cristiano».
L’Ac in cammino è un’Ac missionaria. «Cosa significa per l’Ac farsi più missionaria – conclude Truffelli – ? Non ci sono risposte facili. Dovremo capirlo insieme, in questi e nei prossimi anni. Battendo sentieri nuovi, esplorando nuove modalità e iniziative. E condividendo le esperienze fatte, per capire come farne patrimonio comune. Per cercare di spingere l’associazione occorre sporgersi in avanti, per farsi sempre più prossima alla vita delle persone».
Il decalogo di mons. Sigismondi
A questo cammino in terre inesplorate, fecondo e pieno di speranza, ha fatto cenno l’assistente generale di Ac, mons. Gualtiero Sigismondi, che, in un’ampia e apprezzata relazione sul discernimento, ha elencato una sorta di decalogo che lo sorregga.
«Il discernimento è un esercizio alto di sinodalità che esprime il mistero della Chiesa: la comunione». E un vero discernimento esige lo sguardo fisso su Gesù. Tra i punti da annotare nella nostra agenda quotidiana del discernimento, ci sono: considerare gli altri superiori a se stessi e gareggiare nello stimarsi a vicenda; saper nutrire un po’ di diffidenza verso il proprio giudizio; cercare soluzioni condivise e puntare al massimo bene possibile, non al minimo indispensabile; individuare i fini e i mezzi necessari per raggiungerli. Inoltre: avere memoria del futuro senza cedere alla nostalgia né alle utopie, perché entrambe soffocano la profezia; avviare processi a lunga scadenza, senza farsi sopraffare dalla ricerca di risultati immediati; leggere la Parola di Dio tenendo la mano sul polso della vita; creare un’intesa che sia sintesi delle diverse esigenze e delle varie voci emerse.
Infine, alla base del discernimento c’è la preghiera. Senza la preghiera non c’è la concordia. E senza la concordia, non esiste Pentecoste.
di Gianni Di Santo
dal sito http://azionecattolica.it