Dopo la crisi, costruire il welfare

Caritas - Le politiche contro la povertà in Italia

Caritas Italiana con il suo Secondo Rapporto sulle politiche contro la povertà in Italia conferma anche per quest’anno la sua intenzione di voler offrire un contributo di riflessione, oltre che sulle condizioni di povertà intercettate nei centri di ascolto diocesani presenti sui territori - il Rapporto Caritas sulle Povertà verrà presentato il prossimo 17 ottobre -, anche sulle decisioni assunte in tema di contrasto della povertà stessa; decisioni che emergono dalle politiche pubbliche, in particolare quelle nazionali.

Rimandando alla lettura dei contenuti del rapporto, voglio porre solo poche questioni:

a) il paese che inizia a riemergere dalla crisi – alcune regioni meridionali ancora non sono uscite dal ciclo recessivo - è più povero rispetto a sette anni fa e con più famiglie povere;

b) non voglio essere iscritto al partito dei gufi se dico che quelle famiglie povere non usciranno magicamente o automaticamente dalla condizione di povertà, solo grazie ad una ripresa lenta, che non ha immediati effetti occupazionali, soprattutto se pensiamo alle condizioni di maggiore disagio (gli ultracinquantenni, le persone con bassi livelli di scolarità e competenze o con gravi carichi familiari, le famiglie in contesti territoriali deprivati);

c) c’è bisogno, quindi, di politiche mirate e organiche per far uscire molte persone da una povertà che non diventerà strutturale solo a patto che sia contrastata con risorse e progetti personalizzati, soprattutto per le famiglie con figli a rischio di povertà o che vivono già fenomeni di evasione scolastica.

Non si può combattere la povertà solo con i Programmi del Fondo di aiuti europei agli indigenti (Fead), relativi a interventi su beni essenziali e alimentari; non si può pensare che l’unica misura universalistica che il nostro paese sa garantire alle famiglie povere è un pacco viveri o una mensa, grazie ad una rete sussidiaria diffusa capillarmente su tutto il territorio nazionale.

Nella nostra esperienza si può cominciare dall’aiuto alimentare per costruire percorsi di riscatto, ma non ci si può limitare a questo.

C’è bisogno di una misura strutturale di contrasto alla povertà che sappia tenere insieme risorse e accompagnamento: per ogni persona povera c’è bisogno di un impegno istituzionale e di solidarietà sociale per farla uscire da quella condizione di povertà.

Misure sperimentali che non indicano una prospettiva chiara e definita, interventi categoriali e temporanei non sono la risposta: gli anni che abbiamo alle spalle ce lo ricordano.

Non è vero che “Qualcosa è meglio di niente”.

Occorre definire percorsi chiari per realizzare gli interventi di contrasto alla povertà, fissare scadenze, individuare risorse dedicate.

Non è vero che “Qualcosa è meglio di niente”, perché:

a) quel “qualcosa” può finire per essere l’ennesimo intervento che premia una categoria di bisogni a scapito dell’altra, tradendo gravemente il principio costituzionale di eguaglianza;

b) “fare qualcosa” rischia di accentuare l’approccio categoriale che è da sempre il tratto distintivo delle politiche sociali nel nostro paese;

c) il “fare comunque qualcosa” si espone alla critica – spesso giusta per il passato – di non partire da chi ha più bisogno, ma da chi conta su una maggiore rappresentanza politica o da target che consentono di sbandierare sul piano comunicativo un qualche facile esito;

d) il “qualcosa che si fa” e che si aggiunge agli interventi già in atto infittisce il panorama delle misure esistenti, rendendo difficoltoso sia per i beneficiari che per gli operatori del settore districarsi al suo interno;

e) la compresenza di interventi su ambiti diversi produce costi economici nella misura in cui manca una armonizzazione degli stessi e le risorse non vengono razionalizzate. In questo modo si finisce con lo spendere di più con maggiori sprechi e minore efficacia. Anche da un punto di vista strettamente economico, quindi, la frammentazione degli interventi non è un approccio razionale.

Dunque, smettiamo di dirci che “qualcosa è meglio di niente”. Quando si parla di povertà questo non è vero.

Ma oggi la questione è un’altra. I decisori politici si trovano di fronte a un bivio: decidere o meno di stabilizzare in una condizione di povertà percentuali rilevanti di popolazione, con il rischio di creare nuovi circuiti di povertà. Questa, non altro, è la posta in gioco.

Il Reddito di inclusione sociale è la proposta che l’Alleanza contro la povertà sta portando avanti da alcuni anni: una misura stabile, incrementale, sostenibile e sussidiaria.

Le Caritas hanno fatto fronte alla crisi in questi anni, cercando di sperimentare e innovare per far fruttare al meglio i talenti di cui i territori sono in possesso, ma non abbiamo la presunzione di potere fare da soli. La sussidiarietà è un valore e una risorsa irrinunciabile per le politiche, e tuttavia non si può sostituire agli asset strutturali delle politiche pubbliche.

La sussidiarietà è innanzitutto responsabilità di ogni soggetto - sociale e istituzionale - nella costruzione del bene comune: questo Rapporto - analizzando le scelte operate e da fare e i loro esiti - vuole richiamare semplicemente ogni realtà, ognuno di noi, a questa condivisa e ineludibile responsabilità.

 

di Don Francesco Soddu Direttore di Caritas italiana.
Dall’intervento alla presentazione del Secondo Rapporto sulle politiche di contrasto della povertà