Per il Giubileo. A Roma, Padre Pio e Leopoldo Mandic
La storia, anche quella religiosa, è spesso segnata da paradossi che difficilmente la mente umana può mettere in conto. In questo Giubileo della misericordia voluto da Papa Francesco, un umile frate nato in un paesino del beneventano, Pietrelcina, da nemmeno trenta anni regno d’Italia, con un Papa “prigioniero” in Vaticano dopo la breccia di Porta Pia, e un frate cappuccino nato in Montenegro ma che ha trascorso tutta la sua vita sacerdotale nel Veneto, si ritrovano assieme in Vaticano, esposti alla venerazione dei fedeli, icone di questo Anno Santo straordinario.
Il primo, Padre Pio, anzi san Pio da Pietrelcina, compie per la prima volta il suo viaggio verso il Vaticano, a cento anni esatti dal suo arrivo sul Gargano, a san Giovanni Rotondo, con un permesso provvisorio della comunità cappuccina. Una vita sotto osservazione, tra chi lo considerava santo e chi invece lo vedeva come “mezzo diavolo e mezzo frate”, tanto da costargli indagini dell’allora Sant’Uffizio e la sospensione “a divinis” comminatagli da Pio XI, con la facoltà, però, di poter celebrare messa solo in privato, nella piccola cella del convento che per due anni diventa la sua prigione. Sotto osservazione anche per quelle ferite, le stigmate, che non pochi ipotizzano false e non segni soprannaturali e memoria delle ferite patite da Gesù.
Nella sua vita padre Pio non ha mai incontrato un Papa, ma ha parlato con un giovane sacerdote polacco che poi sarebbe diventato Pontefice con il nome di Giovanni Paolo II. Una storia da raccontare anche questa, perché attorno sono fiorite tutta una serie di racconti che non sempre corrispondono al vero. Come la voce secondo la quale il frate avrebbe detto al giovane sacerdote che sarebbe diventato Papa. È certo l’incontro tra i due; è altrettanto certo che si sono parlati, ma nulla più in quella occasione.
Qualcosa di nuovo accade durante gli anni del Concilio. Wojtyla è uno dei padri presenti in san Pietro e nel 1962 scrive proprio a padre Pio per chiedere preghiere per una sua amica, una madre gravemente malata: Wanda Poltawska. Una lettera in latino alla quale farà seguito una seconda lettera alla ripresa dei lavori conciliari l’anno successivo, nella quale il vescovo Wojtyla ringrazia il cappuccino per le preghiere perché la donna è miracolosamente guarita. Il religioso dirà a un suo stretto collaboratore di conservare quelle due lettere perché arriverà un tempo in cui saranno importanti e bisognerà renderle note. Forse è qui che si inserisce quella voce che vede in questa richiesta un anticipo di ciò che accadrà nel 1978, alla morte di Paolo VI e di Giovanni Paolo I: l’elezione del primo Papa polacco, appunto quel giovane sacerdote andato a San Giovanni Rotondo tra la fine di marzo e i primi di aprile del 1948.
Un incontro che sicuramente è rimasto nel cuore di Giovanni Paolo II che sarà l’unico Papa, finora, a recarsi sul Gargano, e a volere, successivamente, beatificare e a canonizzare il frate con le stigmate.
Il secondo frate cappuccino, san Leopoldo Mandic, ha una esistenza meno travagliata del religioso pugliese, ma ha un grande desiderio che non riuscirà a portare avanti: essere uomo di dialogo ecumenico nella terra della sua infanzia. Di lui Giovanni Paolo I, che da giovane sacerdote si era confessato da san Leopoldo, dirà: “ha copiato fedelmente un aspetto di Gesù: scontro con il peccato, incontro con il peccatore. Accoglieva il peccatore proprio come un fratello, come un amico e per questo non pesava confessarsi da lui”. Anche qui come non cogliere una similitudine con la storia tra Giovanni Paolo II e padre Pio.
Due grandi confessori, dunque, insieme in San Pietro, esposti alla venerazione dei fedeli; due volti di quella misericordia che la chiesa proclama, che Giovanni XXIII, aprendo il Concilio ecumenico Vaticano II, ha chiamato medicina da contrapporre alla condanna, e che Papa Francesco ha voluto al centro del suo pontificato e di questo Giubileo straordinario. Sicuramente è il primo grande evento, dopo l’apertura della Porta Santa, che sarà vissuto in San Pietro, in questo tempo di misericordia, con la partecipazione di moltissimi fedeli e devoti dei due religiosi.
La straordinarietà di questo evento è proprio legata alla storia di questi due santi, alla loro obbedienza, difficile e sofferta, alla loro volontà di essere accanto a donne e uomini per ascoltare le loro difficoltà, i loro peccati, instancabili confessori in un tempo in cui la confessione è messa in secondo piano. E non è un caso che proprio Papa Francesco abbia voluto questo evento, per ricordare, con la presenza di questi due straordinari testimoni, che Dio “mai si stanca di perdonare, ma siamo noi che ci stanchiamo di chiedergli perdono”.
di Fabio Zavattaro - dal sito http://azionecattolica.it