Missionario della tenerezza di Dio

Il viaggio di Francesco a Cuba e negli Stati Uniti

Prima l’isola di Cuba, dopo la fine dell’embargo; poi gli Stati Uniti, con tappe in tre città: Washington, New York e Philadelphia. È il decimo viaggio internazionale di Papa Francesco, un programma davvero fitto di impegni e discorsi che sicuramente affronteranno i temi più caldi di questa stagione della politica internazionale, senza dimenticare che ogni pellegrinaggio papale ha un taglio pastorale e missionario.

Il primo Papa latinoamericano incontra il primo presidente di colore degli Stati Uniti. E già questo, a ben guardare, è un aspetto non secondario di questo itinerario papale. Per di più lo incontra dopo la tappa a Cuba, nel nuovo clima di rapporti diplomatici ricuciti, grazie proprio alla mediazione di Francesco, avviata con due lettere ai due presidenti.

La visita nell’isola di Fidel Castro, la terza volta di un Papa, sarà già un messaggio all’Occidente, e non solo per il dialogo che è si agli inizi ma ha già un futuro certo. E poi è un Papa che guarda all’America con un’ottica lontana da quella europea, che risente delle letture dei paesi latinoamericani, del rapporto a volte conflittuale con il gigante del nord. Da Cuba Francesco parlerà di libertà religiosa, di diritti umani, di democrazia, di sviluppo di un paese che per 53 anni ha vissuto sotto un embargo economico che non ha funzionato: parola del presidente Obama. Ma questa novità cubana forse è anche da evidenziare come l’inizio di un cambiamento di strategia verso il sud del continente da parte Usa. Certo le elezioni sono alle porte e forse il futuro inquilino della Casa Bianca – che sia democratico o repubblicano – potrebbe pensarla diversamente. Ma la storia ormai è segnata da questo passo, e non si torna indietro. E anche i paesi latinoamericani più duri nei confronti degli Stati Uniti dovranno fare i conti con questa apertura a stelle e strisce.

Da parte cubana, il potere, passato dalle mani del leader maximo al fratello Raul Castro, ha segnato una svolta. Una gestione politica apparentemente opaca, porta a segno un successo non indifferente. Ora si tratta di continuare su questa strada, parlando di riforme, di libertà e diritti.

Lasciata l’isola è il Congresso degli Stati Uniti la prima tappa ricca di significato. È la prima volta che un Papa parla ai rappresentanti dei 52 stati che compongono gli Usa. Per di più il primo Pontefice che viene da quelle terre considerate una sorta di “orto di casa”. Si rivolgerà, Francesco, ai rappresentanti del Partito Democratico con i quali c’è maggiore sintonia nei temi affrontati in questi due anni e poco più di pontificato. E si rivolgerà ai rappresentanti dell’Old Grand Party, i repubblicani, più critici verso il Papa soprattutto per quanto scritto nelle encicliche su economia, sviluppo, difesa dell’ambiente e relativo cambiamento di stile di vita per essere più aperti all’accoglienza di poveri e immigrati. Tutto questo nella nazione dove presidenti e rappresentanti giurano sulla Bibbia. Una piccola curiosità: nella sala dove il Papa terrà il suo discorso ci sono medaglioni che ritraggono dei grandi legislatori. Tutti i loro volti sono di profilo e guardano verso il centro occupato dal medaglione con il volto di Mosè. Così Papa Francesco può trovarsi a parlare con Mosè che lo guarda dritto negli occhi.

Non meno importante la preghiera ecumenica a Ground Zero, il luogo dell’attentato dell’11 settembre 2001, e il discorso alle Nazioni Unite, dove risuona ancora l’eco delle parole pronunciate dai Papi Paolo VI, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. Francesco porterà la voce della chiesa, certamente, e dunque la necessità di trovare una nuova strategia di presenza dell’organismo internazionale, il cui ruolo è sempre più importante nella realtà internazionale. Ma porterà anche le attese e le speranze del sud del mondo, dei poveri, di coloro che cercano un futuro migliore lasciandosi alle spalle la loro terra, le loro case. Un discorso che non potrà non tener conto che l’appuntamento di ottobre sarà dedicato proprio al tema dell’immigrazione, nel 70mo anniversario della nascita dell’Onu.

A Philadelphia, infine, l’appuntamento è con le famiglie riunite nell’incontro mondiale, alla vigilia del Sinodo dei vescovi, che si aprirà in Vaticano il 4 ottobre, festa di San Francesco. Ci sarà anche una delegazione iraniana e una famiglia siriana all’incontro americano, proprio per dare un ulteriore contributo a ripensare il ruolo della famiglia nella società multietnica e multiculturale, segnata anche da una diversità religiosa. Per il Papa è il tempo di rilanciare l’alleanza fra uomo e donna, intesa che unione in grado di contribuire alla crescita della società alla luce del bene comune. Si tratta di guardare alle situazioni diverse in cui si trova a vivere la famiglia – le unioni diverse da quella tra un uomo e una donna; la fragilità del rapporto matrimoniale; le separazioni, e di conseguenza i sacramenti per i divorziati risposati – e alle risposte possibili nella fedeltà al Vangelo ma anche nel segno dell’accoglienza e della misericordia. Ci vuole una rinnovata pastorale della famiglia che non sia ancorata al passato ma sappia leggere le nuove sfide. Perché se è vero che la chiesa oggi è “ospedale da campo” come dice Francesco, è altrettanto vero che il Sinodo dovrà avere la capacità di dialogare con il mondo e non solo con la sua cronaca. Perché è nella famiglia che si impara l’alfabeto del dialogo, della solidarietà, dell’amicizia, dell’amore verso il prossimo e verso gli ultimi.

 

di Fabio Zavattaro dal sito http://azionecattolica.it