Il fascino dell'oltre

Il "viaggio" di Arturo Paoli

Si è spento a 102 anni Arturo Paoli. L’ultimo viaggio, per una persona che non si è fermata mai, sembrava non dover mai arrivare. In molti, a caldo, hanno provato a catturarne il profilo sempre in movimento attraverso un’istantanea fulminante che provasse a racchiudere il senso della sua esistenza. Lo sforzo, tradotto nelle più disparate qualifiche, si è rivelato vano. Fratel Arturo, in vita come in morte, non si è lasciato mai incasellare dentro le genealogie rassicuranti solo per chi sta, appunto, fermo. Nella Premessa a un dialogo con Francesco Comina, pubblicato nel 2005 con il titolo non casuale Qui la meta è partire, il piccolo fratello del Vangelo, rievocando le mura della “sua” Lucca come se stesse sulla soglia della morte, aveva scritto:

«Il partire raccontato a queste mura pare in certi momenti il rifiuto di un bene che non troverai altrove. In altri il tradimento di una responsabilità che trasmette la prossimità troppo prossima verso gli abitanti di questa grande casa. Queste sensazioni si sono rinnovate in me quando mi sono ritrovato ad attraversare spazi paurosamente immensi come Buenos Aires, Santiago, San Paolo, New York. Nonostante tutto, è troppo forte lo stimolo a partire: il fascino dell’oltre, che queste mura sembrano vietarti quasi severamente, diviene irresistibile».

In questa folgorante chiusa, è condensato l’itinerario biografico di Paoli, che ha attraversato, nel senso etimologico del termine, esperienze anche contradditorie, riuscendo ad andare sempre «oltre».

Nato a Lucca nel 1912, dopo la laurea in Lettere, nel 1937 entrò nel seminario della diocesi toscana, ricevendo l’ordinazione sacerdotale tre anni dopo. Il ripudio della guerra che segnò l’inizio del suo ministero accanto ai giovani come assistente della Giac, lo spinse, durante l’occupazione nazista, a prodigarsi per la salvezza degli ebrei. Per questa sua attività nel 1999 ricevette da Israele il titolo di «giusto tra le nazioni». Nel 2006 gli fu conferita anche la medaglia d’oro al valor civile dal presidente della Repubblica italiana Carlo Azeglio Ciampi.

Notato per le sue qualità, Paoli fu chiamato nel 1949 a Roma come viceassistente centrale della Giac. Il ramo giovanile dell’Azione cattolica, prima sotto la presidenza di Carlo Carretto, poi sotto quella di Mario Rossi, grazie anche al suo contributo intraprese un coraggioso processo di rinnovamento per recuperare un timbro più spirituale nelle sfide che interpellavano particolarmente le giovani generazioni. Le aperture, che sollecitavano al distacco dall’esposizione politica dell’associazione, provocarono un dissenso con il presidente nazionale Luigi Gedda. La crisi toccò l’apice nel 1954, provocando le «dimissioni» dell’intero gruppo dirigente della Giac.

Durante un viaggio oltreoceano come cappellano degli emigranti italiani in Argentina, incarico a cui era stato nel frattempo destinato, Paoli maturò la vocazione che lo spinse ad entrare nei piccoli fratelli di Charles de Foucauld. Durante il noviziato a El Abiodh, in Algeria, incontrò di nuovo Carretto, che aveva compiuto la stessa scelta. Nel 1957 aprì una fraternità a Bindua, condividendo la vita dei minatori dell’Iglesiente. Nella stessa logica, si iscrive l’esperienza successiva in Argentina, dove fu inviato nel 1960. L’opzione preferenziale per i poveri, affinata nell’effervescente clima del post-concilio attraverso la teologia della liberazione, lo rese inviso alla dittatura, che lo inserì nella lista dei «ricercati».

Fratel Arturo si spostò allora in Venezuela, continuando la sua lotta accanto agli «ultimi». Come responsabile della comunità fondata da René Voillaume per tutto il continente, ebbe modo di conoscere a fondo il potente «fascino», per riprendere la sua espressione, dell’America Latina, immedesimandosi nelle sue aporie. Nel 1987 si trasferì in Brasile, animando progetti sociali di riscatto dalla «condizione di marginalità» della popolazione del barrio di Boa Esperança.

Dopo diversi soggiorni prolungati in Italia, risiedendo a Spello, che lo portarono ad animare incontri sulle tematiche più brucianti che «intristivano» progressivamente il paese, il piccolo fratello del Vangelo tornò definitivamente a Lucca una decina di anni fa. Sollecitato a più riprese a riannodare i fili della sua movimentata esistenza, fratel Arturo non cessò di elevare, come la definì, una «lezione di amore»:

«Su queste parole io spero, con tutto me stesso, che si alzi, come un segnale luminoso di pace, un pensiero che sappia collocarsi nelle spiagge assolate di un’etica del volto concreto, finalmente libera dall’assillo di un mondo delle idee lontano dal nostro, slegato dal corpo e dalla vita feriale che si muove nelle periferie della terra».

 

di Paolo Trionfini - Direttore dell’Isacem-Istituto per la storia dell’Azione cattolica e del movimento cattolico in Italia Paolo VI
Pubblicato su 
http://azionecattolica.it