Riforma del Terzo Settore
La riforma del Terzo Settore accusa una battuta d’arresto al Senato. Il disegno di legge delega era stato approvato alla Camera lo scorso aprile con un’ampia maggioranza e con grande celerità. Ora però la discussione a Palazzo Madama, nonostante fosse prevista per l’estate, slitta dopo la pausa agostana. Non è un buon segno per una galassia di realtà importanti del nostro Paese. Dare priorità al Terzo Settore infatti poteva essere la spia per valorizzare quei tanto citati “corpi intermedi” che sono la trama del tessuto sociale italiano e che tengono insieme (molto spesso da soli) un Paese da sempre frammentato in bipolarità cristallizzate (geografiche e generazionali).
Le note vicende legate a “Mafia capitale” hanno restituito un quadro che mostra il “lato oscuro” di un mondo cooperativo senza controllo. In questa fotografia c’è però il rischio che a pagare siano le realtà più virtuose che si spendono ben oltre la spesa quantificabile per soccorrere le fragilità della società. Il Terzo Settore è infatti un fenomeno a volte nascosto, ma di grande portata: conta 300mila organizzazioni con 700mila dipendenti; vale il 4 per cento del nostro Pil; coinvolge più di cinque milioni di volontari. Ma che cos’è il Terzo Settore? È – come recita l’art. 1 della riforma – «il complesso degli enti privati con finalità civiche e solidaristiche che, senza scopo di lucro, promuovono e realizzano attività di interesse generale attuando il principio di sussidiarietà». Un modo quindi fatto di cooperative e imprese sociali che «not forprofit» svolgono attività economiche d’interesse generale. Il Terzo Settore è economicamente la via per una diversa concezione dell’economia che non si basa solo sul capitalismo e sul profitto, ma sulla “civilizzazione” dei rapporti economici e sulla “umanizzazione” del lavoro.
La cosiddetta riforma in discussione è in realtà una forma di sistematizzazione e stabilizzazione della disciplina vigente. Il processo di riforma partì il 13 marzo 2014 con le «Linee guida» del Governo sottoposte alla consultazione degli stakeholder (soggetti interessati) fino al 13 giugno 2014 e a cui risposte anche il TESC (Tavolo Ecclesiale sul Servizio Civile), nel quale l’Azione Cattolica ha fornito il suo contributo (Considerazioni sul servizio civile). Dopo la presentazione del testo nel luglio 2014, la Commissione Affari sociali della Camera ha ascoltato quarantasette soggetti sociali e ha migliorato il provvedimento che ora si basa su sei punti fondamentali: riforma del Codice civile sulle Associazioni e Fondazioni; creazione del Codice del Terzo Settore (testo unico che accorpa le varie normative precedenti); la definizione dell’impresa sociale come impresa privata con finalità d’interesse generale; creazione del Servizio civile universale; sistematizzazione della disciplina fiscale e delle agevolazioni; e, infine, modifiche al regime tributario e di finanziamento.
Il testo discusso ad aprile in Aula costituiva già una buona base di partenza ed è stato emendato con rilevanti novità: come, ad esempio, la possibilità che il servizio civile possa essere svolto anche in altri Stati europei o, per progetti di promozione della pace o di cooperazione, anche al di fuori dell’Unione Europea. Anche il Forum del Terzo Settore aveva giudicato positivamente la riforma auspicando nel passaggio a Palazzo Madama delle «migliorie legate ad alcuni aspetti gestionali e organizzativi» e risposte anche sul fronte delle risorse. Ci sono elementi critici presenti nella riforma e che hanno bisogno di maggiore chiarificazione. Sono i punti che riguardano il futuro stanziamento delle risorse; la possibilità di far entrare nei C.d.A. rappresentanti d’imprese private o pubbliche; il funzionamento dell’Autorità di controllo che dovrebbe prende il posto della vecchia Agenzia del Terzo Settore.
Nonostante alcuni punti critici e la necessaria cautela sui futuri decreti attuativi, è però fondamentale che il processo di riforma non si arresti. Si tratta infatti – come ha recentemente ricordato Francesco Occhetta, redattore de La Civiltà Cattolica - di una «conversione culturale» nel nostro Paese che valorizza realtà che sono da sostenere per ragioni storiche, culturali e spirituali. Una conversione che coinvolge punti nodali. A partire, in campo economico, da una diversa concezione dell’impresa che non sarà più di stampo solo capitalistico, ma cooperativo con finalità sociali: una forma concreta di “economia civile” che non abolisce il profitto, ma lo mette al servizio della comunità. Con una formula si passerà realmente dal «no profit» al «not for profit». Un cambiamento che esigerà professionalità e trasparenza al mondo del Terzo Settore perché soprattutto dove si gioca la gratuità è necessaria maggiore responsabilità di chi gestisce risorse nei confronti della società. Una conversione anche nel campo sociale che porterà importanti novità quali, da un lato, la stabilizzazione delle forme di finanziamento delle realtà sociali (come il 5 per mille) e, dall’altro, la creazione del Servizio civile universale. Un modo quest’ultimo per promuovere il volontariato e per valorizzare l’esperienza del servizio come elemento imprescindibile della formazione di cittadini responsabili e solidali.
I punti della riforma, come si è visto, toccano una galassia di realtà che hanno bisogno di una sistematizzazione e di abiti giuridici e fiscali fatti su misura. È urgente che il Senato riprenda in mano questo percorso per dare un segnale alla società italiana. Solo così sarà possibile riconoscere e garantire i diritti dei singoli nelle formazioni sociali e da esse pretendere «l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale» che la nostra Costituzione mette a fondamento della Repubblica.
di Andrea Michieli - Centro Studi dell’Azione Cattolica Italiana
pubblicato su http://azionecattolica.it