Che sia il tempo del discernimento

Referendum costituzionale. Alle urne il 4 dicembre

Sì, no. È questa l’alternativa che si presenterà ai cittadini (speriamo tutti) che si presenteranno alle urne il prossimo 4 dicembre. Un giudizio sintetico che chiederà a ciascuno di approvare o rigettare la riforma costituzionale approvata in via definitiva dal Parlamento lo scorso 12 aprile.
Le nove settimane che ci separano dal voto sono un tempo di discernimento sufficiente per formarsi un’idea compiuta sui dettagli della riforma, sugli istituti giuridici toccati ed introdotti, sui tecnicismi sui quali i costituzionalisti dibattono da tempo. Da questo insieme di dettagli deve scaturire un giudizio consapevole sulle questioni di fondo del sistema istituzionale poiché la cosiddetta “ingegneria costituzionale” non è separabile dai fini che la Costituzione pone. Ogni forma di convivenza organizzata, infatti, non prescinde, ma declina una rappresentazione dell’uomo e delle sue relazioni; ogni sistema politico è composto da fini e mezzi non separabili. L’insieme dei dettagli dovrà essere dunque oggetto del nostro discernimento, comparando i “più” e i “meno” che la riforma presenta.
Il tempo che vivremo deve però essere anche quello delle domande di fondo che stanno a monte e a valle della riforma. Oltre al testo, dobbiamo dedicare il giusto tempo a sostare sul contesto della nostra democrazia, sulle sfide che essa pone. Dobbiamo per esempio domandarci, al di là delle soluzioni proposte dalla riforma e dall’attuale Costituzione, che rapporto è necessario tra lo Stato e le autonomie, quale ruolo pubblico possono esercitare i corpi intermedi, quali forme di democrazia diretta possono vivificare il circuito partecipativo, che rapporto esiste tra cittadini, partiti ed istituzioni. Sono queste alcune delle domande che dobbiamo porre al legislatore che propone la revisione della Costituzione e che possono orientare il voto consapevole di ciascuno. Se sapremo dare peso ad esse, riusciremo a trasformare una vuota disputa preelettorale in un vero dialogo di unità costituzionale.
Per far questo però sono necessari due ingredienti essenziali: il dibattito deve tornare al metodo e al merito della riforma, prescindendo dal giudizio sulle contrapposte forze politiche. Inoltre esso dovrebbe auspicabilmente vedere un sano protagonismo della società civile, delle forze sociali che sono il vero tessuto della democrazia italiana. Sarebbe la testimonianza che il popolo plurale pensato dai Padri costituenti è in grado di riflettere sulle ragioni delle regole condivise e la garanzia che esse, al di là dell’esito referendario, rimarranno come valore condiviso.
Alla fine sarà sempre il giudizio sintetico - sì, no - a prevalere il 4 dicembre. Il tempo speso fino ad allora nel dibatto pubblico sarà propizio solo se riuscirà ad andare oltre quella data.

 

di Andrea Michieli - Componente del Centro studi dell’Azione Cattolica Italiana
dal sito 
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