Lettera ai giovani di S.E. Mons. Donato Negro, Arcivescovo di Otranto, per la GMG 2016
Carissimi,
mi è stato detto che, in matematica, espressioni del tipo ‘tendere’, ‘protendersi’, ‘avvicinarsi’, ‘approssimarsi’ non possono essere definite se non utilizzando il concetto di ‘limite’ o quello, ancora più tecnico, di ‘asintoto’.
Non so se ho capito bene, ma la cosa m’intriga. E non poco! Anzi, mi piace assumerla quale metafora del nostro vivere, segnato dal limite eppure proteso all’ulteriore; figura di una fitta trama di incontri e di esperienze di prossimità, protesa all’infinito, come una risposta ‘sospesa’ a qualcosa che continuamente sfugge, ma di cui, tuttavia, non possiamo fare a meno.
Se non ci fossero limiti, se noi e le cose che ci circondano non avessimo confini ben definiti non solo non potremmo distinguerci gli uni dagli altri, ma non potremmo neppure essere cercati o abbracciati. Chi di noi potrebbe mai distinguere la notte se questa non fosse limitata dal giorno? Come discernere una parola senza il silenzio che ne contorna la sagoma e la rende interessante? O la durata di una nota senza il limite segnato dal valore della successiva? Non avremmo che un monotono e indistinto ‘continuum’.
Il limite, dunque, è parte di quel mistero che noi siamo a noi stessi, confine non solo necessario, ma condizione fondamentale della nostra esistenza, posto non per tenerci bloccati al di qua, ma per ravvivare il desiderio di superarlo.
(da: Asintoti di misericordia, Lettera ai giovani per la GMG 2016)