God save the United Kingdom. Dio salvi l’Europa

Referendum Brexit. La Gran Bretagna esce dall’Ue

Non avrei mai pensato di svegliarmi questa mattina e di scoprire di colpo che se mai d’ora in avanti avessi voglia di farmi un viaggio in Gran Bretagna sarei considerato extra-comunitario, sarei considerato straniero. Lo scenario peggiore si è realizzato, come negli incubi più paurosi. Stamattina ci risvegliamo tutti più poveri e soli, ci risvegliamo meno sicuri e meno convinti del futuro che ci attende. Peccato non sia un brutto sogno, peccato sia la realtà. Nostri fratelli hanno deciso di chiuderci la porta in faccia, hanno deciso di prendere le valige e andarsene. I cittadini della Gran Bretagna hanno rigettato il nuovo trattato con l’Unione Europea firmato mesi fa dal loro governo e si sono automaticamente messi alla porta. Fuori.
La Gran Bretagna e il suo popolo hanno deciso di uscire dall’Unione Europea, la più grande invenzione prodotta da questo continente negli ultimi cento anni. Un continente sempre più invecchiato e sempre più impaurito, caratterizzato da rigurgiti nazionalisti che dopo due guerre mondiali, che dopo nazismo e fascismo, speravamo proprio di non rivedere mai più. Forse è ancora presto per capire davvero fino in fondo la portata di questa decisione totalmente non condivisibile. Il Regno Unito regredisce di colpo e rischia lui stesso di frantumarsi: Scozia e Irlanda del Nord, europeiste convinte (basta guardare i dati del referendum) chiedono a gran voce l’indipendenza dall’Inghilterra, e hanno ragione. Ha vinto la retorica della paura e l’indecisione di Cameron, la paura di perdere qualche voto conservatore alle prossime elezioni. Ora invece si trova sull’orlo del baratro, in un grande cortocircuito che colpisce anche il parlamento e la democrazia rappresentativa.
Con la vittoria della Brexit si apre ora per il Regno Unito una fase negoziale con l’Unione Europea che dovrebbe durare due anni e che avrà al centro i diversi aspetti del recesso e la nuova regolazione dei rapporti reciproci.
Miopi interessi di parte hanno avuto il sopravvento su grandi ideali, sull’idea di Europa che persone come De Gasperi, Schuman, Adenauer e Spinelli hanno costruito nel secondo dopoguerra.
Oggi vedremo la sterlina affondare, le borse crollare. Ancora una volta saremo giustamente preoccupati e con il fiato sospeso per quanto riguarda i numeri, le oscillazioni dei mercati, l’economia mondiale, soldi, quattrini e investimenti vari. Tutto legittimo, ma non basta. Non capiremmo a pieno il messaggio che ci viene mandato dalla Gran Bretagna. A questo punto è necessario prendere atto e guardare avanti, avere un sussulto di dignità e di umanità in quest’Europa malandata. Non basterà soffermarsi soltanto sul commercio, sul mercato unico, sulla moneta; non basterà far ripartire soltanto l’economia.
Come scrive Giuseppe Riggio su Aggiornamenti sociali, l’Europa ha bisogno di ripensare se stessa “attingendo al piano dell’immaginazione e del sogno”. Il sogno europeo “potrà sopravvivere solo se saprà presentarsi come una modalità per costruire una integrazione tra differenze che rinunci a qualsiasi progetto egemonico” o totalizzante. Non potremo riprendere il nostro cammino di crescita e sviluppo sostenibile senza farlo assieme, nazione insieme a nazione, popolo insieme a popolo, riconoscendosi diversi ma uniti da un unico grande destino.
Serve una visione d’insieme e la riscoperta da parte di tutti del significato della parola solidarietà.
Oggi, come due anni fa dopo le elezioni del parlamento europeo, il grande lavoro per cui dobbiamo rimboccarci le maniche non è tanto quello di ricostruzione o di creazione, ma un compito di innovazione e trasformazione di ciò che già esiste. Per unire l’Europa – e non soltanto dal punto di vista economico – c’è più da distruggere che da edificare: va gettato via un mondo di rancori, di pregiudizi, di nazionalismi, di interessi individuali. Dobbiamo dunque cercare la nostra nuova misura di essere europei nel comprendere pienamente la vita degli altri Paesi: la coscienza europea esige che ogni atteggiamento individuale o collettivo sappia aprirsi alla comprensione degli altri e alla trasformazione personale. Nei discorsi dei padri dell’Europa è chiaro il riferimento ideale e la base spirituale per credere nell’unità: la collaborazione tra i popoli è vista in una luce di solidarietà umana, ma anche di ispirazione ai principi del Cristianesimo.
L’obiettivo, a questo punto, e con ancora più vigore ed entusiasmo non possono che essere gli Stati Uniti d’Europa, sogno ambizioso ma perseguibile nel medio periodo dalla generazione dei millenials.
Rimanga sempre da monito e sprone questa breve riflessione pronunciata da De Gasperi durante un discorso ad alcuni giovani: «Qualcuno ha detto che la federazione europea è un mito. È vero, è un mito. E se volete che un mito ci sia, ditemi un po’ quale mito dobbiamo dare alla nostra gioventù per quanto riguarda i rapporti fra Stato e Stato, l’avvenire della nostra Europa, l’avvenire del mondo, la sicurezza, la pace, se non questo sforzo verso l’unione? […] Io vi dico che questo è mito di pace. Questa è la strada che dobbiamo seguire. Ricordatevi che se questa speranza di collaborazione fallisse i dittatori ad un certo punto rappresentano quasi la forza di salvataggio a cui istintivamente ciascuno si rivolge, isolandosi e ripiegandosi su se stesso quando si avvede che altre speranze sono spente».
La preoccupazione primaria che ci deve muovere per trasformare l’Europa, allora, sia quella di lasciare sempre un’eredità di democrazia e rappresentanza, di difesa delle libertà che possa restituire a questo grande impegno politico il suo vero ideale spirituale ed umano, quello della fraternità fra i popoli.

 

di Alberto Ratti - Componente dell’Centro studi dell’Azione Cattolica Italiana
dal sito 
http://azionecattolica.it