Il modello economico di Francesco

Una prospettiva differente, per il bene comune

Questa economia uccide! È una delle espressioni più nette e forti di papa Francesco e scritta al numero 53 dell’esortazione Evangelii gaudium, nonché scelta anche come titolo di un celebre libro intervista curato da Andrea Tornielli e Giacomo Galeazzi.
Sin dall’inizio del suo pontificato, Francesco ha sviluppato un magistero sociale vigoroso e innovativo, ma anche ben radicato nella tradizione dei suoi predecessori. Già Benedetto XVI nella splendida Caritas in veritate aveva identificato il rischio del riduzionismo economicista auspicando una «nuova e approfondita riflessione sul senso dell’economia e dei suoi fini» (32).
La crisi finanziaria scoppiata alla fine del primo decennio del Millennio, ha rivelato l’esistenza di una struttura di soggetti speculatori e di istituzioni finanziarie che hanno condizionato (e in parte continuano a farlo) gran parte dei processi di investimento sia di natura pubblica che privata pilotandoli attraverso una informazione opaca e comportamenti non di rado fraudolenti degli intermediari (banche, promotori, consulenti finanziari).

Serve solo il profitto?
La finanza «ridotta» a speculazione «soffoca l’economia reale» (Laudato si’, 109) e perde di vista l’orizzonte lungo dello sviluppo per sacrificare ogni utilizzo e organizzazione produttiva delle risorse (i beni che sono per tutti) alla generazione immediata di profitti per pochi: le persone diventano sempre meno importanti per l’economia “turbo-capitalista” e per la finanza speculativa.
Tutto ciò avviene con la giustificazione apparentemente teorica delle tecnocrazie liberali (i paladini del laissez-faire) che negli ultimi anni hanno invocato riforme nella prospettiva esaltante per i mercati di realizzare efficienza e quindi profitto a vantaggio degli shareholders ovvero degli azionisti. Si è affermato un vero e proprio “paradigma tecnocratico” che tende ad astrarre l’economia derivando da principi astrattamente condivisibili soluzioni spesso concretamente disumane: pensiamo a ciò che è successo in Grecia e alla vicenda inquietante della Troika.

Recuperare la matrice etica
Abbiamo dovuto fare i conti, invece, con la necessità di recuperare non solo la matrice, ma persino la “ragione” etica dell’economia che, prima che essere una triste scienza, consolidatasi come un sistema di modelli più o meno astrusi, è un dispositivo sociale e un sistema di relazioni tra persone e tra territori. L’esistenza dell’economia è connessa alla custodia della “casa comune” e il suo orizzonte non può che essere lo sviluppo umano integrale, o come lo ha ridefinito Francesco l’ecologia integrale. Da Paolo VI in poi, lo sviluppo umano integrale e l’importanza di una radice antropologica ed etica delle politiche e delle istituzioni economiche sono stati una costante del magistero. Papa Francesco dilata questa prospettiva inserendo l’ambiente non solo come scenario delle azioni umane e sociali ma come sistema complesso e “connesso” di relazioni tra ecosistemi: tutto si tiene, tutto è connesso. Lo spreco ambientale ha effetti sociali e viceversa.
Allora occorre assumere una prospettiva differente, quella del più piccolo, del fragile, del vulnerabile, solo misurando le azioni individuali e collettive sulla debolezza e sulla povertà di coloro che sono scartati, che sono sul margine, sarà possibile restituire senso alla tema del Bene comune. Il tema dell’inclusione sociale e della giustizia sono le coordinate fondamentali della critica bergogliana all’attuale struttura e organizzazione economica, nonché della sua prospettiva di elaborazione sociale e pastorale.

Economia e democrazia
L’economia, oggi più che mai, è diventata il terreno su cui si gioca la partita della democrazia. Le grandi questioni sociali come clima, migrazioni e sicurezza “dipendono” da un modello economico che ha frantumato la società in individui, come ci ha insegnato Bauman, il grande sociologo polacco recentemente scomparso, i cui bisogni materiali e immateriali sono mercificati e quindi monetizzati. Francesco ha intuito e compreso questo nesso, e così in compagnia di tanti altri studiosi e attivisti politici, studenti e imprenditori sociali, sta cercando di offrire una via di uscita innovativa e antica. «Se realmente vogliamo raggiungere una sana economia mondiale – afferma –, c’è bisogno in questa fase storica di un modo più efficiente di interazione che, fatta salva la sovranità delle nazioni, assicuri il benessere economico di tutti i paesi e non solo di pochi» (Eg, 206).
La strada è quella della condivisione e della fraternità: la condivisione di ciò che è importante ed essenziale per vivere e la fraternità che deriva dall’abitare tutti una “casa comune”.

 

di Giuseppe Notarstefano - Economista, vicepresidente Ac per il Settore Adulti.
Articolo pubblicato su Segno 1-2/2017