È morto il card. Loris Francesco Capovilla, segretario di San Giovanni XXIII
La sera dell’11 ottobre 2012 in piazza San Pietro c’è la fiaccolata che fa memoria dei cinquanta anni dell’apertura del Concilio ecumenico Vaticano II. Anche quell’11 ottobre del 1962 la piazza era illuminata da fiaccole che descrivevano una grande croce, per celebrare l’inizio dei lavori dell’assise conciliare.
Nei maxi schermi appare il volto sorridente dell’anziano Loris Capovilla, già segretario di Papa Roncalli. La sua voce ricorda il legame con l’Azione cattolica, da ragazzo prima, e da sacerdote successivamente. Parla di anni difficili in cui l’associazione era soffocata dal regime fascista; ma di come quel seme sia stato capace di dare vita ad una pianta che nel tempo è cresciuta e che ancora oggi, sono le sue parole che cito a memoria, svolge un compito importante nell’essere accanto ai vescovi, ai parroci nella formazione di cristiani capaci di assumersi le proprie responsabilità nella costruzione di una società più giusta e attenta ai poveri, agli ultimi. Concluse augurando all’associazione di continuare a svolgere il suo compito con rinnovata energia e senza temere le inevitabili difficoltà del momento.
La voce è forte, nonostante gli anni. La memoria è incredibilmente fresca, capace di ricordare date, luoghi – mi sorprese quando raccontandomi il suo primo incontro con Roncalli, allora Nunzio a Parigi, fu capace di indicarmi l’esatto indirizzo della Nunziatura e gli orari dei treni che prese per andare e tornare dalla Francia – e soprattutto le parole che si scambiarono in quella occasione.
Mi disse al telefono che mi avrebbe dedicato un po’ del suo tempo, pochi minuti per l’intervista perché, aggiunse quasi per scusarsi, “sono anziano e comincio a sentire la fatica e la stanchezza”. Il risultato fu che mi trattenne a lungo, e non riuscii a spegnere la registrazione se non dopo un'ora e mezza.
Quante domande si affollavano alla mente mentre monsignor Capovilla – non era ancora cardinale, lo avrebbe creato Francesco nel 2014 – raccontava, spiegava. Le parole corrono verso quella sera di cinquanta anni prima: le fiaccole che allora accoglievano quella “nuova Pentecoste”, come aveva detto Giovanni XXIII e come avrebbe poi ricordato, affacciandosi in piazza San Pietro, Papa Benedetto XVI. Il racconto va a quella giornata, quando, entrando nello studio del Papa, Capovilla ricordò al Papa che si sarebbe dovuto affacciare e parlare alle persone convenute in piazza. Ma Roncalli rispose subito con un secco no: “ho già parlato questa mattina in basilica” la sua risposta.
Capovilla non si arrende: “lo conoscevo bene – mi racconta – lo sapevo persona molto curiosa”. E qui tira fuori una parola, quasi per giustificare quel suo insistere: “gherminella”. Il termine ormai desueto sta ad indicare una sorta di piccolo inganno per convincere una persona a fare qualcosa. Così Capovilla racconta il suo avvicinarsi alla finestra – bello il gesto della mano destra quasi ad infilarsi tra le listarelle della persiana – per guardare e dire la Papa: la piazza sembra incendiata dalle fiaccole portate dall’Azione cattolica. Roncalli si avvicina e si lascia subito convincere, ma solo in parte: “va bene mi affaccio per una benedizione, ma non parlo”. Capovilla sorride, e mi dice: “ero sicuro che poi, affacciandosi e vedendo la folla, avrebbe parlato”.
In realtà quelle parole non scritte, ma pronunciate con il cuore hanno commosso e ancora commuovono chi le ascolta; quel suo parlare sarebbe poi passato alla storia come il “discorso alla luna”. Ma Capovilla ne sottolinea un altro aspetto, e cioè quel dire che la sua persona “conta niente: è un fratello che parla a voi, un fratello divenuto padre per volontà di nostro Signore”. Una frase, assieme alla richiesta di dare una carezza ai bambini, che gli fa leggere il Pontificato di Papa Bergoglio in continuità con quello di Roncalli. Francesco, aggiunge, oggi ci fa riscoprire con i suoi gesti una parola: la tenerezza.
di Fabio Zavattaro - dal sito http://azionecattolica.it