Lazzati e la “Comunità del Porcellino”

I professorini e i 70 anni della Costituzione

Oggi 18 maggio ricorrono i trentun anni dalla morte del Venerabile Giuseppe Lazzati, figura significativa del cattolicesimo italiano del Novecento e impareggiabile testimone nella 150enaria storia dell’Azione Cattolica Italiana. Ricordare il Professore oggi è ancora più significativo e importante perché quest’anno, a dicembre, ricorreranno esattamente i 70 anni dalla promulgazione della Costituzione Italiana, documento fondamentale della nostra Repubblica e del nostro vivere insieme. Alla stesura e alla nascita di questo documento, il professor Lazzati ha dato un apporto decisivo, in quanto eletto all’Assemblea Costituente nel 1946 insieme a tanti amici e a tante personalità provenienti dalle fila dell’associazionismo cattolico.

Egli, nonostante tutto, si considerò sempre un docente e fu per questo motivo che si definì “politico mio malgrado”, riferendosi così al periodo trascorso a Roma prima come costituente e poi come parlamentare (rimase in carica fino al termine della I legislatura nel 1953). Infatti, rientrato dalla Germania dopo l’esperienza nei lager nazisti, Lazzati era convinto di riprendere i suoi studi all’Università Cattolica e i suoi molteplici impegni all’interno della Giac diocesana.

Una telefonata di Giuseppe Dossetti complicò i suoi piani: l’amico, diventato dirigente nazionale della Democrazia Cristiana, lo invitava a entrare nel partito.

Lazzati fu eletto consigliere comunale nelle elezioni amministrative del 1946 nelle liste della DC, fu poi nominato consigliere nazionale del partito e candidato all’Assemblea Costituente del 2 giugno. Risultò essere il secondo fra gli eletti nella circoscrizione di Milano.

Trasferitosi a Roma, Lazzati si trovò subito concorde con quel gruppo di persone che avevano come loro punto di riferimento proprio Giuseppe Dossetti, i cosiddetti “professorini”, che nei primissimi anni del secondo dopoguerra si ritrovarono spesso ospiti delle sorelle Pia e Laura Portoghesi in due appartamenti al numero 14 di via della Chiesa Nuova, nel cuore della capitale.

Quel gruppetto di intellettuali si diede il nome di “Comunità del Porcellino”: quando, infatti, una sera, l’allora vicepresidente delle ACLI, Vittorino Veronese (poi presidente di AC), si presentò con un porcellino farcito, sembrò a tutti un’apparizione, viste le ristrettezze subite in tempo di guerra.

Casa Portoghesi “non fu soltanto la fisica abitazione di Laura Bianchini, Giuseppe Dossetti, Amintore Fanfani, Angela Gotelli, Giorgio La Pira, Giuseppe Lazzati, ma fu soprattutto il luogo in cui queste persone dettero vita a una comunità fraterna e operosa, che costituì il crogiuolo dello spirito e delle idee che essi portarono nell’Assemblea Costituente”.

Il gruppo dossettiano, si segnalò in quel periodo così intenso e decisivo per la storia della Repubblica, soprattutto per il grande contributo alla stesura della prima parte della Costituzione (i principi fondamentali redatti dalla Commissione dei 75) e per i continui richiami a non sovrapporre il proprio impegno politico con quello per la Chiesa. Proprio Lazzati, infatti, affermava con convinzione che i due piani sarebbero dovuti rimanere necessariamente distinti: all’Azione Cattolica spettava principalmente il compito di formazione e preparazione religiosa e morale dei credenti, mentre alla DC spettava l’opera di educazione politica e di rappresentanza all’interno delle istituzioni. I credenti impegnati in politica, quindi, dovevano essere autonomi dalla gerarchia ecclesiastica. Sapendo di essere minoranza all’interno del partito, il gruppo dei “professorini” fondò nel maggio 1947 la rivista “Cronache Sociali”, con l’obiettivo di farla diventare uno strumento di dibattito politico per educare i cattolici ad un’idea di democrazia basata sulla partecipazione e sulla giustizia tra i cittadini e ad un impegno politico come servizio autonomo e non succube della gerarchia. Scriveva Lazzati: “Sino da allora era convinzione comune che il rinnovamento spirituale e culturale del nostro paese, prostrato dal fascismo e dalla guerra, fosse condizione e premessa di autentico rinnovamento politico. Ho detto rinnovamento spirituale e culturale, ma devo aggiungere, a scanso di equivoci, condotto all’insegna di quella unità dei distinti che sola permette di evitare confusioni  e separazioni, forme di integrismi e clericalismi le prime o di secolarismi e laicismi le seconde. Solamente un rinnovamento di tale fatta poteva condurre i cattolici da lungo tempo estranei alla politica a pensare e gestire la politica stessa in modo nuovo”.

Fra le figure straordinarie che componevano quel gruppo esisteva un’idea del bene comune e anche la convinzione che nel dibattito e nel confronto politico fosse necessario cercare sempre una sintesi.

Cercarono, insieme con tutti gli altri costituenti, così diversi l’uno dall’altro, di trovare sempre punti in comune. Una lezione di vita, di politica, di sobrietà e di dedizione istituzionale straordinaria.

Per il gruppo dossettiano, Lazzati fu un insostituibile elemento per sostenere le battaglie e le posizioni dell’ala sinistra della Democrazia Cristiana che incalzava il segretario De Gasperi a mantenere fede alle promesse di riforma e a dimostrare maggior apertura e vicinanza alle esigenze delle classi popolari, in modo che queste tematiche e queste lotte non divenissero appannaggio esclusivo dei partiti di sinistra. Lazzati riteneva che il suo impegno politico e l’azione del gruppo dossettiano avessero come scopo quello del “consolidamento del regime democratico”, attraverso la creazione di strutture che garantissero “l’attuazione di una democrazia integrale, vale a dire rinnovata in tutti i punti insufficienti e integrata nei punti che si sono mostrati piuttosto formali che sostanziali”. L’impegno di Giuseppe Lazzati si contraddistinse sempre – anche dopo la fine dell’impegno politico – come passione per la verità e servizio agli altri nella carità. Egli sottolineò spesso con insistenza l’importanza per il credente di costruire la città dell’uomo insieme al non credente, per il bene di tutti e non, invece, quella di costruire una cittadella cristiana chiusa al mondo esterno. Ancora oggi, 70 anni dopo l’approvazione e la promulgazione della Costituzione, il professor Lazzati ci direbbe che l’unico modo per riformare la politica è quello di tornare ad incarnare, nell’azione politica quotidiana, propositi per attuare i primi importantissimi articoli della Carta, ai quali lui e i suoi amici si dedicarono con passione e con pazienza durante gli anni della Costituente.

 

di Alberto Ratti - Componente del Centro studi dell’Azione Cattolica Italiana
dal sito 
http://azionecattolica.it