La nostra fede è sempre rivoluzionaria

Il viaggio di Francesco in America Latina

Nel centro storico di Quito, la capitale dell’Ecuador, si trova la chiesa cattedrale dedicata al poverello di Assisi, l’edificio religioso più antico dell’America Latina. Ed è qui che papa Francesco, a conclusione della prima tappa del suo viaggio apostolico – che lo porterà anche in Bolivia e Paraguay – ha scelto di esplicitare cosa significa costruire il bene comune: «Guardare l’avversario politico, il vicino di casa con gli stessi occhi con cui vediamo i bambini, le mogli o i mariti, i padri o le madri». «Amiamo la nostra società? Amiamo il nostro Paese, la comunità che stiamo cercando di costruire?», ha domandato a voce alta papa Bergoglio rilevando che invece «le nostre relazioni sociali o il gioco politico, spesso si basano sulla competizione, sullo scarto». «La mia posizione, la mia idea, il mio progetto sono rafforzati se sono in grado di battere l’altro, di impormi». «Nelle famiglie - invece - tutti contribuiscono al progetto comune, tutti lavorano per il bene comune, ma senza annullare l’individuo; al contrario, lo sostengono, lo promuovono. Le gioie e i dolori di ciascuno sono fatti propri da tutti».

Ma c’è anche altro destinato a riempire il diario di questo viaggio: le parole pronunciate da Francesco nel corso dell’omelia alla messa nel Parco del Bicentenario di Quito, rito intitolato alla evangelizzazione. Nel rendere esplicito omaggio alla Liberazione bolivariana di due secoli fa - che restituì dignità e autonomia praticamente all’intero Sudamerica - Francesco ha ribadito «quel grido di indipendenza dell’America ispanofona, un grido nato dalla coscienza della mancanza di libertà, di essere spremuti e saccheggiati, soggetti alle convenienze contingenti dei potenti di turno».

Un grido di libertà - ha sottolineato Francesco - che «fu decisivo quando lasciò da parte personalismi, aspirazione a un’unica autorità, mancanza di comprensione per altri processi di liberazione con caratteristiche diverse, ma non per questo antagoniste». Aggiungendo: «Già ho avuto modo di dire: mentre nel mondo, specialmente in alcuni Paesi, riappaiono diverse forme di guerre e scontri, noi cristiani insistiamo nella proposta di riconoscere l’altro, di sanare le ferite, di costruire ponti, stringere relazioni e aiutarci a portare i pesi gli uni degli altri».

«La nostra fede è sempre rivoluzionaria», ha proseguito papa Bergoglio, e deve sempre essere rivolta verso i più bisognosi. «Il Vangelo può essere veicolo di unità di aspirazioni, di sensibilità, di sogni e persino di certe utopie», ha spiegato Francesco, ricordando che portare il Vangelo non è fare «proselitismo», ma «attrarre con la testimonianza anche i lontani. Il Vangelo ha fascino e fuoco, può dare testimonianza di comunione fraterna e invita ad accogliere l’immensa ricchezza del diverso, il molteplice che raggiunge l’unità» nella comune Eucaristia, che «ci allontana dalla tentazione di proposte più simili a dittature, ideologie o settarismi». «Il proselitismo - ha ricordato papa Bergoglio - è la caricatura dell’evangelizzazione», aggiungendo che «non è una religiosità delle elite, quella di Gesù».

Richiamando i toni e le parole dell’enciclica Laudato si’, Francesco ha di seguito denunciato: «Constatiamo quotidianamente che viviamo in un mondo lacerato dalle guerre e dalla violenza. Sarebbe superficiale ritenere che la divisione e l’odio riguardano soltanto le tensioni tra i Paesi o i gruppi sociali. In realtà, sono manifestazioni di quel “diffuso individualismo” che ci separa e ci pone l’uno contro l’altro, frutto della ferita del peccato nel cuore delle persone, le cui conseguenze si riversano anche sulla società e su tutto il creato».

«Affidarsi all’altro è qualcosa di artigianale, la pace è artigianale. È impensabile - ha infine aggiunto il Francesco - che risplenda l’unità se la mondanità spirituale ci fa stare in guerra tra di noi, alla sterile ricerca di potere, prestigio, piacere o sicurezza economica». Il Pontefice ha anche rivendicato una «ricerca di comunione» che sia non solo verso l’esterno, ma anche interna alla Chiesa. Ha ribadito che «l’unione che chiede Gesù non è uniformità, ma la multiforme armonia che attrae», che la relazione di fraternità «non trova il suo fondamento nell’avere i medesimi gusti, le stesse preoccupazioni, i talenti». E che la «gioia» che annuncia la Chiesa è «far parte del “noi” divino». «Questo - ha concluso nella messa nel Parco del Bicentenario - significa evangelizzare, questa è la nostra rivoluzione, perché la nostra fede è sempre rivoluzionaria, questo è il nostro più profondo e costante grido».

 

di Antonio Martino - Pubblicato su http://azionecattolica.it/