Francesco e la "costruzione" della misericordia

Dal viaggio a Cuba e negli Stati Uniti

Con poche parole Francesco sa conquistare il cuore di molti, e ha conquistato il cuore della nazione americana. Così due quotidiani statunitensi – Usa Today e The Washington Post – commentano la visita del Papa negli Stati Uniti. E da Cuba l’organo ufficiale del Partito comunista cubano scrive che la visita del Papa è un evento da ricordare per sempre. Un successo, dunque il viaggio di Francesco nell’isola di Fidel e negli Stati Uniti, due paesi che hanno iniziato un processo di riavvicinamento che vede nella progressiva riduzione del bloqueo, cioè dell’embargo, un passo importante per ricucire i rapporti logorati da più di 50 anni di conflittualità.

Proprio i progressivi passi in questa direzione hanno segnato il viaggio di Francesco che chiede alla nazione cubana di percorrere “sentieri di giustizia, di pace, di libertà e di riconciliazione”. E il processo di normalizzazione delle relazioni tra i due popoli “è un segno del prevalere della cultura dell’incontro, del dialogo”; e, citando l’eroe nazionale José Marti, aggiungeva: “del sistema della valorizzazione universale … sul sistema, morto per sempre, di dinastia e di gruppo”. E quell’aprirsi dell’isola al mondo e il mondo a Cuba pronunciato da Papa Wojtyla nel suo viaggio storico del 1998, diventa per Francesco anche opportunità di riconciliazione di tutto il popolo cubano, di coloro che sono nell’isola e di quanti risiedono fuori della nazione.

Il tema del servire diventa poi un altro elemento che unisce i due popoli. Se a Cuba parla di un servizio che non è mai ideologico, “dal momento che non serve idee ma persone”, e dell’essere accanto ai concittadini che non sono coloro “di cui si approfitta, si usa e si abusa”, negli Stati Uniti il tema del servire Francesco lo coniuga concretamente andando dagli immigrati ispanici, dai carcerati per dire che nel futuro di ognuno c’è spazio perché “la memoria salva l’anima di un popolo da tutto ciò o da tutti coloro che potrebbero tentare di dominarla o di utilizzarla per i loro interessi”.

Così parlando al Congresso degli Stati Uniti, la prima volta di un Papa, per di più latinoamericano – “io pure sono un figlio di questo grande continente” – Francesco ripropone i valori che hanno fatto grande l’America, ma non nasconde le difficoltà di un mondo sempre più “luogo di violenti conflitti, odi e brutali atrocità, commesse perfino in nome di Dio e della religione”. Ma la strada che indica è quella di una “risposta di speranza e di guarigione, di pace e di giustizia”. Per cui dice no al “semplicistico riduzionismo che vede solo bene o male, o, se preferite, giusti e peccatori”.

La gente di questo continente, formatosi sotto la spinta di tanti popoli giunti qui in cerca di un futuro migliore, non ha paura degli immigrati. Ma a proposito di immigrati il mondo oggi sta fronteggiando una crisi di proporzioni tali che non si vedevano dai tempi della seconda guerra mondiale: “non dobbiamo lasciarci spaventare dal loro numero, ma piuttosto vederle come persone, guardando i loro volti e ascoltando le loro storie, tentando di rispondere meglio che possiamo alle loro situazioni”.

Tema, questo, che torna nel discorso al Palazzo di vetro delle Nazioni Unite, insieme all’ambiente e al No forte, deciso alla guerra. Discorso alla vigilia dell’assemblea che affronterà, nella sua sessione, anche il tema dell’immigrazione. Il mondo, dice Francesco, chiede con forza a tutti i governanti “una volontà effettiva, pratica, costante, fatta di passi concreti e di misure immediate, per preservare e migliorare l’ambiente naturale e vincere quanto prima il fenomeno dell’esclusione sociale ed economica, con le sue tristi conseguenze di tratta degli esseri umani, commercio di organi e tessuti umani, sfruttamento sessuale dei bambini e bambine, lavoro schiavizzato, compresa la prostituzione, il traffico di droghe e di armi, terrorismo e crimine internazionale organizzato”. Per tutti ricorda le tre “t” tierra, trabajo, e techo, cioè terra, lavoro e casa.

La visita a New York è anche occasione, per Francesco, per una preghiera ecumenica a Ground zero, un luogo dove migliaia di vite “sono state strappate in un atto insensato di distruzione”. Guarda le due fontane sul cui bordo sono scolpiti sul bronzo i nomi delle quasi tremila vittime dell’attentato dell’undici settembre, parla dell’acqua che scorre e ricorda “tutte quelle vite che stavano sotto il potere di quelli che credono che la distruzione sia l’unico modo di risolvere i conflitti. È il grido silenzioso di quanti hanno solo dolore, sofferenza, distruzione e lacrime”. Ma quell’acqua è anche il simbolo delle nostre lacrime, “piangiamo il dolore provocato dal sentire l’impotenza di fronte all’ingiustizia, di fronte al fratricidio, di fronte all’incapacità di risolvere le nostre differenze dialogando”.

L’ultimo appuntamento è con i partecipanti all’ottavo incontro mondiale delle famiglie, ai quali ricorda che la sfida per la Chiesa oggi è sempre quella di essere accanto alle donne e agli uomini, nelle gioie e nelle difficoltà. Così chiede ai vescovi di non aver paura delle domande, del contatto, dell’accompagnamento; il vescovo deve stare in mezzo, e “perdere tempo con le famiglie”. Senza la famiglia la Chiesa non esisterebbe, afferma ancora Francesco. L’incontro è stato, in un certo senso, una sorta di prologo dell’assise sinodale che si aprirà il 4 ottobre in Vaticano. E la sua prima preoccupazione è stata quella di sottolineare come il mondo oggi sembra un grande supermercato dove tutto si può acquistare, perché la cosa più importante sembra andare dietro all’ultima tendenza di moda, inseguendo un “mi piace” o l’aumento di unfollowers. L’obiettivo è consumare, relazioni, amicizie, religioni: “Non importa il costo né le conseguenze. Un consumo che non genera legami, un consumo che va al di là delle relazioni umane”. Ma guai a dire una volta si stava meglio, il mondo è un disastro e se continua così non sappiamo dove andremo a finire: “Questo mi suona come un tango argentino”.

La strada è chiara davanti a noi; siamo chiamati, dice il Papa, a cercare, accompagnare, sollevare, curare le ferite del nostro tempo. “Un cristianesimo che ‘si fa’ poco nella realtà e ‘si spiega’ molto nella formazione, sta in una posizione pericolosa”. Così parla di “alleanza” della Chiesa e della famiglia, altrimenti marcisce e la famiglia umana “si farà irrimediabilmente distante per colpa nostra” e andrà “al supermercato di moda a comperare il prodotto che in quel momento le piace di più”.

 

di Fabio Zavattaro - dal sito http://azionecattolica.it