L’intervista del Presidente Truffelli a Vatican Insider
Il presidente dell’Azione Cattolica Matteo Truffelli racconta come l’associazione si sia preparata e abbia partecipato al Sinodo. «Con Paolo VI e Papa Francesco diciamo: costruiamo ponti e non scaviamo fossati». Emerge il profilo di una chiesa vicina alla gente, capace di accogliere e di amare prima di giudicare, in grado anche di apprendere dalle esperienze del laicato cattolico a cominciare dallo spazio dato alle donne; d’altro canto le associazioni hanno a loro volta un compito importate, quello di formare laici in grado di far vivere li Vangelo nel mondo, in linea con il Concilio.
Presidente Truffelli, l'Azione Cattolica (AC) storica organizzazione del laicato cattolico, cosa si aspetta da questo Sinodo?
«Siamo in fiduciosa attesa di quanto uscirà dal Sinodo, e quanto uscirà dal Sinodo noi siamo pronti a farlo nostro e a cercare di tradurlo concretamente nella vita delle famiglie, delle persone, della Chiesa, della società. Dall'altra parte ci aspettiamo però che il Sinodo sia capace di dire a tutta la Chiesa, alle associazioni laicali in modo particolare, come riuscire a farci sostegno autentico della vita quotidiana, di fede, delle famiglie. Ci aspettiamo quindi che il Sinodo indichi delle strade da percorrere. E penso che la strada principale sia quella di un'apertura vera, autentica alla quotidianità delle famiglie, che significa anche un po' di coraggio nel mostrare che la prima cosa che sta a cuore alla Chiesa è quella di accogliere la vita delle persone, di essere in grado di ascoltarle, anche nelle domande profonde, nelle fatiche che a volte si possono sperimentare nella vita familiare e cristiana».
Come avete raccolto l'invito del papa e del Sinodo dello scorso anno a discutere a approfondire i temi della famiglia?
«Per un verso abbiamo partecipato a un percorso di preparazione fin dal Sinodo precedente, fra l'altro rispondendo ai questionari, e l'abbiamo fatto sia nelle chiese locali, sia come associazione nazionale che ha mandato un proprio contributo. Rispetto alle sollecitazioni del Sinodo poi, ci sono due grandi elementi: da una parte la consapevolezza che è nell'ordinarietà della vita associativa che si può offrire veramente una testimonianza vera e bella del significato e del valore della famiglia, cioè attraverso la vita ordinaria dell'associazione fatta di famiglie che vivono in modo radicato il Vangelo; in questo senso si può offrire una testimonianza autentica che educa, poiché la vera questione è educare le persone al valore e all'importanza della famiglia. E come si educa? Non tanto a parole o attraverso insegnamenti, ma facendo fare esperienza di famiglie belle, vere, autentiche, con i loro problemi e limiti ma che vivono il Vangelo».
L'altro aspetto invece cosa riguarda?
«Dall'altra parte non ci siamo sottratti allo stimolo forte di ripensarci tutti come Chiesa per andare di più incontro a tutte quelle esperienze di famiglie ferite, di vite messe in difficoltà, di percorsi problematici. E ci siamo chiesti come l'associazione può fare questa cosa. Siamo giunti alla conclusione che l'associazione può offrire a tutte queste esperienze, di chi ha avuto problemi, ferite, difficoltà, non percorsi ad hoc, al contrario può fare in modo che queste esperienze vivano dentro l'ordinarietà dei nostri gruppi, delle associazioni parrocchiali, senza nessun tipo di esclusione e anzi con una forma forte di inclusione, cioè un'associazione che s'interroga su come essere più accogliente e di sostegno a queste esperienze».
Due espressioni sono tipiche nel vocabolario di papa Francesco: l'idea del sacerdote come pastore e il termine misericordia, in che vi siete misurati con queste indicazioni?
«La figura del pastore che sta in mezzo al suo popolo è esattamente il modo in cui noi viviamo il rapporto con i nostri assistenti, la nostra esperienza è quella di un pastore che può stare davanti ma anche in mezzo o dietro al suo gregge. D'altro canto è anche vero che il pastore stando in mezzo ai laici impara tanto sulla famiglia, sulla fatica del lavoro quotidiano, del crescere i figli, della bellezza e della fatica. Da questo punto di vista credo che le aggregazioni laicali hanno molto da dare alla chiesa per aiutare la Chiesa a 'respirare' la famiglia nella sua concretezza reale. E questo è possibile se c'è quell'altro atteggiamento che è la misericordia. Perché quando il Papa parla di misericordia ne parla sempre intendendo quell'atteggiamento di colui che prima di tutto sa di aver bisogno di misericordia, anzi che ha fatto esperienza di misericordia, e per questo assume un atteggiamento misericordioso nei confronti degli altri. Il che non significa un atteggiamento zuccheroso o che passa sopra le cose, ma è la scelta di chi prima di giudicare, ama, prima di giudicare guarda negli occhi e condivide la vita di quelle persone. Pastoralità e misericordia sono insomma un tutt'uno e sono un elemento chiave che da questo Sinodo può emergere per avere qualcosa da dire veramente alla vita delle famiglie di oggi».
Un tema che è nel Sinodo ma è in generale nel dibattito della Chiesa, riguarda il ruolo delle donne e la difficoltà a dare loro maggior spazio al di là della questione sacerdozio. L'esperienza delle associazioni in questo senso cosa insegna?
«Il tema è la specificità dell'apporto femminile alla vita della Chiesa che è un apporto che potrebbe essere molto più valorizzato di quello che è. Nei fatti, nelle nostre parrocchie, sono in gran parte le donne a fare la vita della Chiesa. Non siamo però stati capaci di riconoscere che c'è bisogno di strutturare questo apporto per consentirgli di esprimersi in modo più forte. Da questo punto di vista le aggregazioni laicali e in particolare l'Azione cattolica, hanno tanto da dare; la nostra è un'esperienza in cui tutti i ruoli sono condivisi tra un vicepresidente uomo e una donna e così via. Quest'esperienza va avanti dal Concilio e dentro la vita dell'associazione è diventata una grande ricchezza. Non è un caso che tantissimi presidenti diocesani dell'AC siano donne. In Emilia Romagna, per esempio, sono la maggioranza. Siamo la prima associazione che ha eletto una donna presidente. Anche in questo senso dobbiamo portare il respiro delle associazioni dentro la Chiesa».
Al di là di ogni discussione contingente, secondo lei in che misura il pontificato di Francesco ha come riferimento il Concilio Vaticano II?
«E' sicuramente un papa che si fa fortemente interprete e attuatore del Concilio, su questo non c'è alcun dubbio, in particolare legge la riflessione di Paolo VI durante e dopo il Concilio. Da questo punto di vista c'è un forte richiamo al Vaticano II. L'altra grande categoria di papa Francesco, oltre a misericordia e a pastori, è quella di popolo, la Chiesa come popolo di Dio, è sicuramente un cardine del Concilio Vaticano II. In questo senso va anche la valorizzazione del laicato, sono indicazioni forti. A volte mi dicono: sarete contenti di questo; sì, ma questo è innanzitutto un richiamo alla responsabilità dei laici. Quando il papa dice i laici non hanno bisogno di pastori piloti, parla proprio di laici formati. Allora il nostro compito è quello di formare laici capaci di prendersi le loro responsabilità; non è dunque un discorso astratto, si parla di laici con coscienze formate capaci di prendersi le loro responsabilità dentro la Chiesa e nel mondo. E questo è il Concilio Vaticano II».
L'Azione cattolica in che modo vive questa stagione di crisi dei soggetti collettivi come partiti, sindacati, associazioni?
«Da una parte il dato della crisi è vero, ci sono però due elementi su cui riflettere in modo specifico rispetto all'Azione Cattolica. Come associazione abbiamo subìto questo processo perché stiamo dentro la storia, ma allo stesso tempo abbiamo tenuto più di altri. Se pensiamo per esempio ai partiti non c'è paragone. La crisi c'è perché siamo nell'epoca dell'individualismo, l'epoca che papa Francesco chiama della tristezza individualista che è il vero problema delle nostre società. E l'AC rappresenta in questo contesto un anticorpo sano rispetto a un individualismo che appassisce in sé stesso, un anticorpo sano che introduciamo nel corpo della Chiesa e della cultura e la gente sente l'importanza di aggregarsi , del camminare insieme. Per cui sì, c'è un fenomeno di crisi ma l'AC sta dimostrando una tenuta in controtendenza rispetto al fenomeno complessivo. Dopo di che la nostra caratteristica è di stare dentro la Chiesa locale, per cui dove quest'ultima è affaticata anche l'AC è affaticata. Dove ci son problemi, lo stesso è per l'AC. In ogni caso siamo presenti ancora in tutte le diocesi italiane, siamo in 6mila parrocchie italiane, un tessuto ancora capillarmente presente».
Ma in che termini è possibile entrare in dialogo con una società che viene definita fortemente secolarizzata?
«Da questo punto di vista l'Azione Cattolica ha da sempre un approccio dialogante con il proprio tempo, dentro la cultura e il tempo nel quale ci è chiesto di essere fermento. Quindi non c'è una cultura che noi consideriamo pregiudiziale rispetto al messaggio evangelico. E sappiamo anche che ogni tempo ha anche cose da insegnarci, dialogare non significa semplicemente parlare al proprio tempo ma anche mettersi in ascolto vero e profondo della cultura, della capacità creativa di un'epoca. Il che poi non significa non riconoscerne limiti e problemi ma vuol dire starci dentro veramente e non guardando a un altro tempo che c'è stato o che aspettiamo. Con Paolo VI e papa Francesco potremmo dire che il nostro modo di essere è quello di stare nel nostro tempo costruendo ponti e non scavando fossati».
Per chiudere: se dovesse indicare delle priorità alla politica in materia di famiglia, quali sarebbero?
«Alla politica chiedo innanzitutto di rendere più facile la vita delle famiglie, in termini fiscali, di possibilità di flessibilità della vita, nel poter scommettere sul proprio futuro. Il vero nodo è la disoccupazione giovanile. Il nodo è la paura che i giovani hanno di costruirsi una famiglia perché hanno paura del loro futuro. Non credo però che sia solo la politica dover dare queste risposte, però sicuramente l'elemento cruciale è far riacquistare fiducia nel futuro, dal punto di vista politico e esistenziale».
di Francesco Peloso dal sito Vatican Insider