Convegno ecclesiale nazionale - Firenze 2015
Il senso per me dell’Abitare. Vengo da una mia famiglia molto laica della borghesia milanese, ho imparato grazie all’Azione cattolica che laicità e fede possono stare insieme: ho così scoperto con gioia nella mia giovinezza che per vivere la fede non ho da abitare altrove se non dove già sono, nei luoghi di tutti, al modo di tutti, eppure con quella possibile eccedenza del Vangelo come si legge nella Lettera a Diogneto.
I testimoni che mi hanno aiutato. Mi hanno aiutato in questo testimoni della storia del laicato del XX secolo: personaggi come Lazzati, Madelaine del Brel, Gianna Beretta Molla, tanti laici dell’Ac, un importante prete ambrosiano, don Luigi Serenthà.
Ho imparato da loro che non c’è contrapposizione tra fede e vita, passione per la vicenda storica e impegno ecclesiale.
Questa unità profonda tra fede e vita, di una fede che trova casa nell’ordinarietà che pure è luogo adatto per vivere la fede mi pare esprima bene la relazione Chiesa-mondo che ci ha consegnato la Gaudium et spes: una Chiesa impastata di storia, tradizione, cultura, mai di fronte al mondo, ma porzione particolare segnata dalla novità del Regno. Un altro grande maestro è stato per me il card. Carlo Maria Martini. Riporto un suo breve scritto che dice molto bene questa presenza del Regno nella storia che la rende per noi pienamente abitabile : “Lo Spirito Santo c'è e sta operando, arriva prima di noi, lavora più di noi e meglio di noi; a noi non tocca né seminarLo né svegliarLo, ma anzitutto riconoscerLo, accoglierLo, assecondarLo, farGli strada, andarGli dietro.
….sorride, danza, penetra,investe, avvolge, arriva anche là dove mai avremmo immaginato.
…lo Spirito sta giocando, nell'invisibilità e nella piccolezza, la sua partita vittoriosa.” (C. M. Martini, da Tre racconti dello Spirito).
Ne traggo due punti: lo Spirito apre le vie e nulla ci impedisce di vivere appieno il Vangelo nella quotidianità, se non il nostro peccato.
Lo SPIRITO agisce e vivifica la storia attraverso culture, religioni, situazioni anche oltre l’orizzonte ecclesiale. Ricordo un incontro organizzato dai giovani di Azione Cattolica con Liliana Segre: ebrea non credente, donna di altissima umanità forgiata nel lager e capace di risalire una china di morte fino a non odiare più e fino ad amare di nuovo le persone. Di fronte a lei mi sarei inginocchiata rendendo onore al senso alto della vita e della sua dignità, offesa e rinata, come non mi era mai capitato di fronte a nessuno.
Questa presenza dei segni dello Spirito nella vicenda storica ci abilita al dialogo e alla ricerca del bene comune con uomini e donne di buona volontà per abitare insieme il mondo.
Abitare il tempo presente: tre spunti per vivere il nuovo umanesimo: CASA, NON CASA, CORPO. Come detto l’abitare è una via molto ordinaria e molto laica: abitare è avere una casa. Abitare ha anche a che fare con la nostra indole secolare: abitare è insieme anche habitus stile, inclinazione ad avere a che fare con il secolo.
CASA. Casa Zaccheo
I giovani di Azione Cattolica a Milano stanno vivendo da anni l’esperienza di Casa Zaccheo e Casa Loreto: due esperienze nelle quali i giovani per un mese o per 10 mesi abitano insieme. Abbiamo potuto inventare queste esperienze perché una parrocchia e poi un privato ci hanno dato degli appartamenti per far realizzare questa esperienze di condivisione non solo di economie, ma soprattutto di relazioni quotidiane di ascolto, comunicazione, incontro, preghiera.
Da questa esperienza traggo due flash: per abitare ci vuole la casa, abitare però significa anche avere un progetto di vita, scegliere uno stile.
Oggi mancano le case, a Milano costano moltissimo e moltissimi mi hanno chiamato da varie parti di Italia per il figlio/a che viene a studiare o a lavorare in città. Abbiamo case senza persone e persone senza casa… La Chiesa detiene un patrimonio immobiliare oneroso e pesante che rischia di non avere più abitanti, non avere più progetti e sostenibilità… Come comunità possiamo avvertire la responsabilità di non rassegnarci alla sola decadenza di un’epoca ma reinventare esperienze o dare strumenti e mezzi a chi oggi vorrebbe provarci, rilanciare l’housing sociale, le vie dell’ospitalità.
NON CASA. Come seconda esperienza porto il dato che oggi viviamo in molte “non case”. I luoghi tradizionali di abitazione e relazione e di incontro fisico si sono smaterializzati: viviamo sui mezzi di trasporto, nel web (icloud, dropbox google drive, i gruppi di wath’s up). Ci sono dipendenti di centri commerciali che lavorano anche 24 ore su 24… Chi fa la spesa alle tre di notte.
Anche a livello pastorale ci sono questi nuovi luoghi che rischiano di essere non case: aree omogenee, comunità pastorali, unità pastorali dove non ci sono più le persone di prima come riferimento, ci sono altri riferimenti…
In vario modo queste sono forme di un abitare smaterializzato, in movimento: come abitare questi luoghi strani? Direi umanizzandoli, coltivando un tessuto relazionale accogliente che li trasformi in luoghi imprevedibilmente ospitali per chi bussa, per chi ci è vicino, nella costruzione nuova di legami personali e sociali affidabili.
Abitare è stile: quello oggi cercato o ricercato perché assente è l’ospitalità. La trama di relazioni calde rende abitabili luoghi altrimenti invivibili.
CORPO. Abitare il proprio corpo (unità di corporeità e libertà). Insegno a giovani tra i 16 e i 19 anni. in numero crescente ci sono casi di anoressia, di disagio psichico, di crisi nei percorsi ordinari di vita. Quest’anno per il terzo anno di fila attiviamo per una classe quinta liceo il percorso di istruzione domiciliare causa problemi psichici. Mi accorgo che costruire la propria identità lavorando su di sé, nella concretezza del proprio corpo e della propria storia sembra oggi molto difficile. I giovani e noi con loro siamo dentro una cultura che divide anima e corpo, contrapponendoli: o si sceglie il corpo nella sua materialità fino all’ossessione, o si sceglie l’anima come se potesse stare senza un corpo fino all’astrazione totale, astorica.
Tutto ciò mi provoca e mi sollecita a riflettere su come essere donna, come vivere il mio corpo, me stessa, come assumerlo, accoglierlo, custodirlo e curarlo, malato o sano, vitale o stanco, piacevole o faticoso. Un modo concreto per curarsi del corpo è quello di vestirlo: l’abitare diventa abito, è il vestito esteriore ma anche la coltivazione di uno stile che dice l’essere del corpo. È l’habitus virtuoso. Se abitare è immergersi, immedesimarsi, dobbiamo arrivare fino a incarnare in piena libertà il nostro corpo. Oggi le sfide culturali (gender e dintorni) ci chiedono di saper testimoniare come sappiamo dare forma profonda e unitaria alla nostra liberà incarnata. I giovani guardano noi adulti se siamo donne e uomini armonici, sereni dentro la nostra storia, o se siamo incompiuti.
Cosa intrecciare sulle cinque vie:
*L’ordinarietà è luogo teologico, abitare la storicità concreta è già un punto vertice. La storia è il luogo dove lo Spirito già agisce. Quanto lo sappiamo? Quanto non siamo troppo subordinati alla tentazione delle gnosticismo come ha detto il Papa? Quanto la Chiesa ce ne sa chiedere conto prima di ogni altro impegno da assumere a livello pastorale? Non rischia a volte di separarci dal mondo?
*Abitare e uscire e trasfigurare : L’abitare non è in contrasto con l’andare, certo ci vuole chi sta e chi va, ma lo stile di tutti dovrebbe essere una unità profonda di contemplazione e azione, dimora in senso giovanneo e azione operosa. Per questo come laici abbiamo bisogno di una Chiesa che si faccia sempre più ministra della nostra condizione, offrendoci tutto il supporto e nutrimento spirituale per aiutarci a stare dove siamo con novità di vita, e perché il nostro stare possa sempre più assomigliare a un dimorare – nostro in Dio e, tramite noi, di Dio in mezzo agli uomini.
*Per abitare abbiamo bisogno di vedere allenati e testimoniati alcuni linguaggi base del mondo in chiave cristiana: l’esercizio del potere, l’uso dei beni (immobiliari e liquidi), la qualità delle relazioni, la cura della umanità concreta, degli affetti, del corpo… Senza allenare questi linguaggi così mondani il nostro abitare cristiano nel mondo non solo si perde nella mediocrità e nel grigio, ma addirittura diviene una contro testimonianza. Come la comunità pratica profeticamente questi linguaggi base? Credo che si rischi da un lato di spiritualizzare il cristianesimo, che invece è fede in un Dio che si incarna, e per contro inventare un mondo parallelo a quello che esiste, dove far essere le cose del mondo dentro i confini fisici dei luoghi di Chiesa, non evangelizzando il mondo, ma clericalizzando il laico. E tutto ciò sconfessando l’altra tentazione del pelagianesimo.
*C’è da essere più creativi nel maneggiare i linguaggi mondani all’insegna della gratuità: inventare una gestione alternativa dei beni immobili e dei soldi, contro le logiche dell’accumulo, curare relazioni autentiche e non legami funzionali, vivere il potere come servizio e non come accrescimento di sé…
*Come laici nella nostra indole secolare siamo chiamati alla santità non nonostante il mondo, ma abitandolo e trovando in esso quella promessa di bene che è segno del Regno. Forse la nostra indole secolare può ricordare alla Chiesa la sua stessa ragion d’essere.
Intervento-testimonianza di Valentina Soncini, delegata regionale Ac Lombardia, docente di storia e filosofia nella scuola secondaria, su Abitare: una della cinque vie per un nuovo umanesimo, proposte dalla traccia del Convegno ecclesiale di Firenze e offerte al lavoro di riflessione e confronto tra i delegati. L’esperienza di “Casa Zaccheo” e “Casa Loreto”; la “sfida”dell’abitare il proprio corpo; gli interrogativi che pone l’abitare la rete.
Dal sito http://azionecattolica.it