Artigiani di una pace fondata sulla giustizia

Il viaggio di Francesco in Africa

Non si può capire il Pontificato di papa Francesco senza cogliere il valore di alcune scelte, a cominciare dal suo primo viaggio a pochi mesi dalla sua elezione, e cioè la visita all’isola di Lampedusa, e il suo messaggio all’Europa perché apra le porte alle persone che fuggono dalle guerre, dalla violenza, dalla povertà. Andare in Africa è mettere in primo piano le diseguaglianze di un mondo dove il 20 per cento della popolazione ha a disposizione l’80 per cento della ricchezza. Così già dal suo primo discorso a Naibobi, in Kenia, Francesco parla del «dovere di amministrare in modo giusto i doni che abbiamo ricevuto»; e chiama uomini e donne a operare per la riconciliazione e la pace, «per il perdono e per la guarigione dei cuori» rafforzando coesione, integrazione, tolleranza e rispetto degli altri: «l’esperienza dimostra – afferma papa Francesco – che la violenza, il conflitto e il terrorismo si alimentano con la paura, la sfiducia e la disperazione, che nascono dalla povertà e della frustrazione. La lotta contro questi nemici della pace e della prosperità deve essere portata avanti da uomini e donne che, senza paura, credono nei grandi valori spirituali e politici».

In un mondo «ferito dall’egoismo, dal peccato e dalla divisione», nel quale assistiamo «all’avanzata di nuovi deserti, creati da una cultura del materialismo e dell’indifferenza verso gli altri», Francesco si rivolge ai giovani – la risorsa più preziosa, afferma – per incoraggiarne le speranze e le attese per il futuro, chiamandoli a impegnarsi nella vita politica, culturale e economica del paese. A loro ricorda, in Uganda, la testimonianza dei martiri cattolici e anglicani, che non hanno avuto paura e hanno risposto all’odio con l’amore.

Il viaggio nel continente africano per Francesco diventa così sintesi del suo pontificato, di una Chiesa in uscita, che va nelle periferie esistenziali e guarda ai poveri a coloro che sono ai margini della società. E lo dice chiaramente in aereo, nella consueta conferenza stampa, quando, rispondendo ad una domanda sulle sue emozioni vissute negli incontri, ricorda il dramma della povertà e dice: «ho sentito dolore. E penso come la gente non se ne accorga. Un grande dolore». Se l’umanità non cambia, «continueranno le miserie, le tragedie, le guerre, i bambini che muoiono di fame, l’ingiustizia … E questo non è comunismo, questa è verità. E la verità non è facile vederla».

È proprio questo suo stile diretto di affrontare le questioni che piace alla gente e lo si è visto nella grande accoglienza che ha ricevuto in tutti i momenti della sua visita. Uomini e donne sono convinti che il suo viaggio non lascerà le cose come sono ora. Se ne fa interprete Catherine Samba-Panza presidente di transizione nella Repubblica Centroafricana, che afferma: «la sua effettiva presenza qui oggi fra noi è vissuta come una benedizione del cielo. Questa effettiva presenza di papa Francesco a Bangui è sentita anche come una vittoria. Una vittoria della fede sulla paura, sull’incredulità e una vittoria della compassione e della solidarietà della Chiesa universale. Ce ne rallegriamo tutti e rendiamo gloria a Dio per questo».

Viaggio ancora nel quale non potevano mancare riferimenti all’ambiente, alla vigilia del vertice di Parigi sui cambiamenti climatici. Siamo al limite del suicidio, ha detto in aereo, e l’alternativa è una sola: migliorare o distruggere l’ambiente. I cambiamenti climatici «sono un problema globale con gravi implicazioni ambientali, sociali, economiche, distributive e politiche, e costituiscono una delle principali sfide attuali per l’umanità».

C’è bisogno dunque di un cambio di rotta, nella politica e nella società; la globalizzazione dell’indifferenza «ci fa lentamente abituare alla sofferenza dell’altro, quasi fosse normale». Ci abituiamo, dice Francesco, a forse «estreme e scandalose di scarto e di esclusione sociale, come sono le nuove forme di schiavitù, il traffico delle persone, il lavoro forzato, la prostituzione, il traffico di organi». Dalla capitale della Repubblica Centroafricana Francesco lancia un forte appello contro il commercio delle armi,e a coloro che «ingiustamente» le usano dice: «deponete questi strumenti di morte; armatevi piuttosto della giustizia, dell’amore e della misericordia, autentiche garanzie di pace».

Così quell’aprire la Porta Santa a Bangui, quasi fil rouge del Pontificato bergogliano è occasione per invitare l’uomo a «passare all’altra riva» ed essere «artigiani di una pace fondata sulla giustizia». In Africa, come nel resto del mondo, uomini e donne «hanno sete di rispetto, di giustizia, di equità». Perché, aggiunge il Papa, la potenza dell’amore di Gesù «non arretra davanti a nulla, né davanti ai cieli sconvolti, né davanti alla terra in fiamme, né davanti al mare infuriato. Dio è più forte di tutto. Questa convinzione da al credente serenità, coraggio e la forza di perseverare nel bene di fronte alle peggiori avversità».

 

di Fabio Zavattaro - dal sito http://azionecattolica.it