Non possiamo essere cristiani da soli

La visita di Francesco a Torino

Il viaggio di Papa Francesco a Torino è innanzitutto preghiera personale, silenziosa ai piedi dell’uomo della Sindone, “icona del sabato santo” per Benedetto XVI. La Sindone è anche “immagine della sofferenza umana”, diceva Giovanni Paolo II. “Questo volto sfigurato – scriveva Papa Francesco nel 2013 – assomiglia a tanti volti di uomini e donne feriti da una vita non rispettosa della loro dignità, da guerre e violenze che colpiscono i più deboli”. Con la mano tocca la teca che accoglie il sacro lino, gesto che accompagna la sua preghiera e affida all’uomo della Sindone i tanti poveri Cristi feriti e scartati dalla società. In primo luogo quegli uomini e donne che lasciano le loro terre in cerca di un futuro migliore e che spesso si trovano invece rifiutati, abbandonati davanti ad una stazione o al confine tra due nazioni: “L’immigrazione aumenta la competizione, ma i migranti non vanno colpevolizzati”, dice Papa Francesco nel discorso pronunciato nella Piazzetta Reale. Incontra una ventina di rifugiati e immigrati, quasi tutti africani; gli consegnano una lettera e gli chiedono di continuare a parlare, a difendere il loro diritto di emigrare. Loro, afferma ancora Francesco, sono “vittime dell’inequità, di questa economia che scarta e delle guerre”. Poi, non contento di queste parole, si ferma un attivo solleva lo sguardo dal foglio alza il braccio e con voce lenta prosegue: “fa piangere vedere lo spettacolo di questi giorni, in cui esseri umani vengono trattati come merce”.

Al Papa parlano una donna che ha il marito disoccupato da due anni e mezzo, un agricoltore e un imprenditore che sceglie, nonostante le difficoltà, di non chiudere la sua azienda tessile e di non trasferirsi all’estero dove il costo del lavoro è inferiore proprio per non lasciare a casa gli operai; una piccola rappresentanza di tutto il mondo del lavoro. Esprime vicinanza il Papa ai giovani disoccupati, alle persone in cassa integrazione, o precarie: “In questa situazione, che è globale e complessa, non si può solo aspettare la ripresa. Il lavoro è fondamentale. Ci vuole coraggio”. Per questo pronuncia quattro no per evidenziare come in questo nostro mondo si esclude ciò che non produce: “No a una economia dello scarto, che chiede di rassegnarsi all’esclusione di coloro che vivono in povertà assoluta”; no all’idolatria del denaro, alla corruzione, “tanto diffusa che sembra essere un atteggiamento, un comportamento normale”. Ancora un no non a parole ma con i fatti, alle “collusioni mafiose, alle truffe, alle tangenti”.

Celebra messa in piazza Vittorio Veneto, la più grande piazza d’Europa, incontra i giovani, ai quali chiede di guardare avanti con fiducia nonostante le difficoltà, visita il Cottolengo, cittadella della carità nella città di Torino; parla al mondo salesiano, nel bicentenario di don Bosco. Infine compie un gesto dal grande valore ecumenico: la visita al tempio valdese, la prima volta di un Papa, dove pronuncia un mea culpa per la lunga persecuzione cui questa comunità protestante è stata sottoposta e durata secoli.

Francesco chiede perdono a Valdo, si potrebbe anche dire. Forse è appena il caso di ricordare che mentre Valdo, un mercante di Lione vissuto nel XII secolo, percorre le strade della sua città per aiutare i poveri e gli emarginati, ad Assisi un altro giovane, figlio di un ricco mercante, si spoglia dei suoi beni proprio per aiutare gli ultimi. Se questi, Francesco, è accolto dalla Chiesa e da vita alla grande famiglia francescana, Valdo è invece cacciato da Lione nel 1177 proprio perché predicava una Chiesa povera e per i poveri. Chiede perdono, dunque il Papa, per “gli atteggiamenti e i comportamenti non cristiani, persino non umani che, nella storia, abbiamo avuto contro di voi. In nome del Signore Gesù Cristo, perdonateci”. Ci sono voluti 800 anni ma alla fine le parole di perdono sono arrivate; forse non se le aspettavano nemmeno loro, i valdesi, che lo avevano invitato nella chiesa di Corso Vittorio Emanuele a Torino. Parole importanti, inattese, dicevamo, tanto che il moderatore della tavola valdese (cioè l’organo esecutivo dell’Unione delle Chiese metodiste e valdesi) Eugenio Bernardini le commenta così: “La sua richiesta di perdono ci ha profondamente toccati e l’abbiamo accolta con gioia. Naturalmente non si può cambiare il passato, ma ci sono parole che bisogna avere il coraggio di pronunciare e il Papa questo coraggio lo ha avuto”.

Nel suo discorso di saluto al Papa, il pastore Bernardini parla di fine dell’autosufficienza delle Chiese: “Non possiamo essere cristiani da soli”. È una nuova pagina ecumenica che si vive nella piccola chiesa torinese: “Entrando in questo tempo lei ha varcato una soglia storica, quella di un muro alzatosi otto secoli fa quando il movimento valdese fu accusato di eresia e scomunicato dalla chiesa romana”. Anche il dono al Papa sottolinea simbolicamente il valore di questo incontro: gli viene regalata una copia della Bibbia di Olivetano fatta realizzare in lingua francese nel1535 – la lingua che allora si parlava nelle valli valdesi dove i figli di Valdo erano stati obbligati a vivere – un anno dopo la traduzione in tedesco della Bibbia da parte di Martin Lutero.

Infine tre gesti che il cronista non può fare a meno di sottolineare: la recita del Padre nostro nella traduzione interconfessionale; la benedizione che una donna, un diacono della Chiesa metodista, Alessandra Trotta, pronuncia, con le parole di San Paolo, in nome di quella “pace di Cristo a cui siete stati chiamati per essere un solo corpo”; e infine: dopo la preghiera davanti alla Sindone, Francesco che sosta in raccoglimento davanti alle spoglie di Pier Giorgio Frassati, che nel Duomo riposa. Di lì a poco, nel discorso rivolto ai giovani dirà, citando Frassati: “Se volete fare qualcosa di buono nella vita, vivete, non vivacchiate. Vivete!”.

 

di Fabio Zavattaro - http://azionecattolica.it/non-possiamo-essere-cristiani-da-soli