Chiudersi fuori
“Prendi tutti i suoni/dal frastuono di ogni giorno/cerca tra la gente le parole/segui la tua vita/non lasciarla andare/ora è il momento”: così cantano i Tiromancino.
Tutti abbiamo vissuto questa tragicomica esperienza di chiuderci fuori casa. Per disattenzione, per il troppo da fare che ci occupa il cuore e le mani o semplicemente per dimenticanza. Dopo esserci accorti del “danno” abbiamo cercato subito di riparare: la telefonata alla mamma, la richiesta della copia che la mamma lascia a casa della vicina (da me nel bellissimo Salento si fa così). Cerchiamo comunque di riparare e di rientrare in casa.
In questa settimana vivremo i riti di chiusura delle tante Porte Sante. Poi, il 20 novembre papa Francesco chiuderà la Porta Santa di San Pietro.
Dal lontanissimo inizio a Bangui nel Centrafrica, capitale spirituale del mondo, era il 29 novembre 2015, fino alla Porta Santa delle cattedrali di casa nostra, abbiamo vissuto un anno di grandi aperture e di bellissimi slanci di vita. Rivedendo le foto di questi mesi, ovunque abbiamo visto tanta gente oltrepassare la Porta Santa della propria terra; persone che partecipavano con fede ai riti, moltissime tra loro hanno approfittato di questo anno straordinario per riprendersi la propria vita cercando di fare del bene agli altri.
In questo anno giubilare abbiamo scoperto la nostra vita scoprendo la vita degli altri, amando di più gli altri, fidandoci di più delle persone che per qualche motivo abbiamo considerato lontani. Ci siamo resi conto che per vivere bisogna aprire e non chiudere; mescolarsi e non allontanarsi; fidarsi e non costruire diffidenze.
Allora tutto questo mi fa dire che è bene chiudersi fuori non per dimenticanza ma per scelta, non per disattenzione ma per amore. La Chiesa che si chiude fuori lo fa solo per una profonda scelta d’amore, perché sente il bisogno di avere vita dai cuori che davvero incontra e non solo dalle liturgie che celebra.
Solo se insieme alle porte abbiamo aperto anche il cuore potremo trovare il coraggio di restare fuori. Chiudersi fuori è anche nutrire il cuore di vita, di vicinanza ad ogni uomo, di passi lenti che scoprono i volti di ogni persona, di parole belle da affidare al vento. Chiudersi fuori è anche capacità di ricominciare ogni giorno con occhi nuovi e non essere custodi della polvere.
Chiudersi fuori significa allora cercare di rendere le vie che ogni giorno percorriamo navate di una chiesa, più grande e più accogliente. Sicuramente saranno poco silenziose ma di certo più vive.
Se facciamo diventare le nostre strade navate, dobbiamo cercare anche di trovare un luogo dove mettere il tabernacolo. Il posto più adatto mi sembrano i tanti luoghi in cui l’uomo fa più fatica ma sta in piedi, dove riesce a sorridere nonostante tutto, dove riesce a disegnare nel proprio cuore un percorso di speranza nonostante le distruzioni, dove vive gioie profonde.
Perché Gesù vuole stare nel cuore e vuole essere il cuore di ognuno.
Abbiamo aperto porte e in questi giorni le chiuderemo. Potrebbe essere un gesto automatico e formale, una porta si apre e poi si chiude. Tanto incenso, ma tutto finirà lì.
Se invece anche in questi riti riuscissimo a metterci più cuore, più fiato, più vita, ci renderemmo conto che il gesto più vero da fare durante queste giornate è proprio quello di chiuderci fuori, di continuare a dire che Dio ci ama, che si fida di noi, che non guarda le nostre piccolezze, che non misura le nostre vite in peccati ma in bellezze.
Questa la sfida più bella: riuscire a tenere aperto! Le porte, i cuori, le mani e le braccia perché ognuno trovi casa in noi!
Tony Drazza - Assistente nazionale del Settore Giovani di Azione Cattolica
dal sito http://azionecattolica.it